Franco Esposito
Vanno come razzi, ora preferibilmente in monopattino. Ti passano di fianco a notevole velocità. Il casco d'ordinanza e la tracolla ad imprigionare il largo contenitore con i pasti. Primo e secondo piatto, il contorno se richiesto, eventualmente anche il dessert. I rider sono tenuti, per necessità, a fare in fretta. Vengono pagati a cottimo. Quindi a consegna. Più ne fanno, più guadagnano.
Ma ora urlano e vogliono essere ascoltati. Reclamano condizioni di lavoro più dignitose. E per dirlo e farlo capiee hanno organizzato una rivolta. Uno sciopero, lo sciopero, in centro a Firenze. Dopo la morte di Sebastian Galassi.
"Questa è una strage, la vita vale più di una consegna, basta cottimo".
Quelli del sindacato di base, i Cobas, rovesciano di tutto addosso al governatore della Regione Toscana, Giani. "Via, vai via, Giani. Questa piazza non è il tuo posto". Il grido di protesta parte al palco improvvisato davanti alla chiesa di Sant'Ambrogio. Piovono insulti. "Non hanno fatto nulla per i rider. Giani e suoi hanno ottenuto un contratto che non vale niente. Vai a lavorare. Io sulla bicicletta sono vivo, tu stati comodo in un ufficio".
Meglio di niente, replicano gli attivisti della Cgil. La vita da rider divide anche il centrosinistra. Diventa scontro nelle manifestazioni. É accaduto a Roma, il 28 settembre, durante il presidio per l'arborto sicuro. Il bis a Firenze. In piazza decine di rider, non tanti. Pochi se li si considera come lavoratori con diritto di sciopero. Ma fermarsi vuol dire per loro perdere posizioni nel rigido schema imposto dall'algoritmo. Da oggi dovranno ricominciare a correre di più, ad andare appunto come razzi, incuranti se il marciapiede c'è, la zona è aperta al traffico o piuttosto solo ai pedoni, obbligati a recuperare le ore perse mentre scioperavano.
Spesso si affidano alle cosidddette bici molecolari, quelle vecchio stile. Uno di loro si presenta al microfono: "Riesco a guadavgnare mille euro al mese nei giorni di maggiore richiesta, lavorando sette ore al giorno". I giorni migliori sono i peggiori per chi è in strada. Le sere in cui piove, fa freddo, c'è la neve. I giorni in cui chi può, resta a casa. "Questa non è vita".
Ma un rider resta tale per sempre. Si considerano infatti una comunità dii fratelli, in ragione del fatto che ritrovano negli sguardi di ognuno la stanchezza dell'altro, nei loro sguardi stanchi". Sempre più spesso il rider è un laureato, in informatica o in scienze politiche. Questo lavoro faticoso e pericoloso adottato come ripiego. Come necessità per sopravvivere. Rider da quattro anni, Marco Donati lavora al masismo sei ore, "Dopo mi stanco. Dovessi vivere solo di questo, non ce lla farei". I rider, di norma, si arrangiano con altri piccoli lavori. Non sono pochi quelli che si sono dati un limite alle consegne.
Talora cadono in strada proprio per stanchezza. Se succede, l'azienda addebita la consegna non effettuata. Una bella fregatura. E questo induce i buoni rider a non "inseguire soltanto la quantità, questo lavoro non deve farci morire". Ma in quanti sono a pensarla cosi? Non troppi.
Però c'è anche chi riesce con le consegne a pagarsi tutte le spese. "Quando va bene guadagno anche 1200 euro al mese – si lascia andare Simone – ma per riuscirci devi agire da pirata".
Da pirata come? "Semafori rossi ignorati, strade in senso vietato e correre tante". Ma così non è più vita, è un rischio e punto. Fatto sta che il lavoro non deve essere presso mai sottogamba, richieed eserietà e concentrazione. Diventa prblematico poter studiare. "Durante il Covid si guadagnava abbastanza bene, ma abbiamo bisogno comunque di maggiori tutele".
C'è di sperava di pagarsi negli anni l'acquisto di una casa. "Mi sono reso conto che avrei dovuto lavorare dieci ore al giorno. Impossibile, non avrei avuto il tempo per studiare". Studente alla facoltà di economia, Andrea ha dimezzato l'impegno di rider, riducendolo a tre massimo quattro ore al giorno. Ha chiesto aiuto ai genitori e ora si impegna per migliorare la vita di chi non ha avuto la sua stessa fortuna. Essere rider significa diventare schiavo dell'algoritmo. Si è pagati a cottimo, si finsice per lavorare a un ritmo insostenibile. Necessita sedersi a un tavolo per avere garanzie, diriti e tutele che ora non ci sono".
Basta pensare a Sebastian Galassi, il rider morto in strada sabato scorso. La famiglia ha ricevuto un amail di lcienziamento "per il mancato rispetto di termini e condizioni", il giorno dopo il decesso del giovane. Senza parole. L'azienda si è scusata a distanza di ore. "Un messaggio automatico è partito in seguito alla sopsensione dell'account".
Semplicemente bugiardo, ridicolo, squallido. Assodelivery, che rinunisce e rappresenta le principali piattaforme di delivery in Italia, ha espresso profondo cordoglio e vicinanza alla famiglia di Sebastian Galassi "il rider vittima di un incidente stradale a Firenze". Ma dov'era e dov'è la sicurezza per i rider costretti ad andare sempre più veloci nelle consegne? "Passi in avanti sono stati fatti in questi anni – informa Assodelivery – e altri ancora ne possono essere fatti alle istituzioni e alle parti sociali".
Come e quando? L'interrogativo e la conclusione dei rider ha riempito la piazza fiorentina della rivolta. "Prima del prossimo morto".
Triste davvero, anzi di più.