di Michele Fioroni

 

Non solo pianificazione energetica, politica industriale e sistema delle competenze, a mancare lappello del nostro Paese anche la strategia sullinnovazione. Anche in questo caso le conseguenze sono evidenziate in maniera impietosa dal Global Innovation Index 2021, che vede l'Italia solo al 29 esimo posto, dietro a Cipro e Malta.

Molte le motivazioni alla base di tale ritardo.

La prima prettamente politica. È mancata negli anni una cabina di regia sullinnovazione, le cui traiettorie sono state caoticamente frammentate tra strutture ministeriali diverse, ognuna con una prospettiva antitetica allaltro.

C’è bisogno più che mai di un solo soggetto con una dignità politica automa, che gestisca le politiche di innovazione del paese e che concentri le deleghe oggi in capo al MIUR, al MISE e alla Transizione Digitale. Un vero e proprio Ministero dellInnovazione, che abbia chiaro che linnovazione, quella che ha una ricaduta economica concreta sul territorio, è soprattutto la business innovation, che si traduce in prodotti e processi produttivi, partendo sempre da un problema o un bisogno concreto

In unottica diversa, le scelte del PNRR nella missione dalla ricerca allimpresa”, ci fornisce una plastica rappresentazione di come si continui a perpetuare negli errori del passato, certificando come la gestione dellinnovazione sia ancora conferita alle Università.

LUniversità ha competenze sulla didattica e sulla ricerca, ma spesso non utilizza le metriche proprie della business innovation per valorizzare le invenzioni che nascono in questi luoghi di creazione, perché mancano le competenze specifiche di chi sa effettivamente trasformare brevetti in prodotti.

Il grande ostacolo però è che il nostro sistema universitario è da sempre più preoccupato di produrre paper scientifici che di valorizzare linnovazione. E allora, sarebbe fondamentale ristrutturare il modello di organizzazione delle Università, ispirandoci allenterprise university, in cui accanto al rettore, che è responsabile della produzione scientifica, vi è anche un CDA responsabile della valorizzazione economica della ricerca e dellinnovazione prodotta in Università.

Un altro elemento fondamentale che è mancato, è un vero e proprio soggetto attuatore dellinnovazione. In tale senso sarebbe strategico rivedere la missione di Invitalia, lAgenzia Nazionale per lo Sviluppo dImpresa, che a oggi gestisce moltissimi bandi, anche quelli dedicati allinnovazione, ma si limita ad andare di poco oltre liter amministrativo.

Lidea di un'agenzia che abbia capacità di execution e che offra servizi di accompagnamento e fruibili in tutto il paese. Un soggetto che sia in grado di dotare gli inventori delle competenze necessarie per trasformare le loro invenzioni in prodotto, e farli crescere in termini di manifattura tecnologica, costituendo una metodologia replicabile a livello locale anche dalle agenzie di sviluppo regionali. Innovare non è di per sé cosa complessa, rendere operativa linnovazione invece sì, ma è su questo campo che si gioca la partita del nostro Paese.

Arrriviamo poi a unaltra grande debolezza del nostro sistema: la finanza a supporto dellinnovazione. Anche in questo caso il problema non è riconducibile alla quantità. Non è un problema di risorse a disposizione, perché il problema dellinnovazione non si risolve iniettando capitali, ma rafforzando le competenze a supporto.

Negli ultimi anni sono stati fatti importanti investimenti su un soggetto come CDP Venture che è diventato un attore fondamentale dellecosistema. Scelta importante ma non sufficiente.

Va creato un mercato che funzioni, va rafforzata la filiera del capitale, intervenendo in quei buchi” che spesso non permettono alle ingenti risorse, ad oggi messe in campo, di essere effettivamente efficaci.

Un problema assolutamente non banale nel percorso di valorizzazione dellinnovazione è per esempio quello dello smobilizzo dei capitali. I fondi che investono nel primo miglio dellinnovazione, fondi che spesso si assumono il rischio di investire in invenzioni che sono ancora in fasi early stage, a oggi rimangono bloccati, per mancanze di altri fondi specializzati negli step successivi che investano in sostituzione parziale o totale dei primi.

Un problema che potrebbe essere risolto creando un mercato regolamentato delle exit in una visione di filiera, non offrendo solo capitali, ma piuttosto capitali intelligenti capaci di accompagnare linnovazione in ogni stadio e in ogni esigenza, partendo dal presupposto che gli innovatori non hanno spesso contezza di come si trasformi un'idea in un prodotto di mercato.