di Franco Manzitti
Avanti e indietro. Stop e ripartenza. Scioperi, blocchi stradali, aeroporto invaso e peana epocali per il nuovo porto. Banca commissariata dalla Ue e il Tribunale europeo che cancella.
Stare a Genova oggi e osservare gli eventi, con la particolare attenzione dovuta nei giorni in cui si celebra il più illustre dei genovesi, Cristoforo Colombo, fa girare la testa.
Sembra di essere in altalena. Si sale su con annunci addirittura "epocali", poi si precipita in giù, in picchiata con l'ultima notizia nera. Si conquista una certezza e poi la si vede sbriciolarsi.
Genova in altalena mette insieme nella stessa giornata colombiana, 12 ottobre, 530 anni dalla Scoperta dell'America, il trionfale annuncio che la nuova diga portuale si costruirà con la stessa miracolosa formazione che ha rifatto in 18 mesi il ponte crollato: We build dell'imprenditore Salini più Fincantieri.
A loro l'Autorità portuale ha assegnato i lavori che cominceranno in gennaio e devono essere terminati nella parte sostanziale almeno entro il 2026.
E' il ministro Enrico Giovannini a sigillare il suo ultimo atto di governo con la conferma, mentre a Genova, nella sede dell'Autorità Portuale il presidente Paolo Emilio Signorini, il presidente della Regione Giovanni Toti e il sindaco Marco Bucci non si risparmiano in retorica, sottolineando che stanno scrivendo la Storia di Genova con questa opera chiave per la città, per l'Italia, per l'Europa e, forse, per il Pianeta intero.
Quella diga al largo di 450 metri dalle banchine di oggi, costruite grazie ai capitali donati dal marchese Raffaele de Ferrari, principe di Lucedio, marito di Maria Brignole Sale, duchessa di Galliera, elargiti a fine Ottocento, cambierà la faccia del trasporto marittimo, ma anche di Genova città, allungandola di mezzo chilometro in mare.
Quella diga costerà un miliardo sull'unghia, già stanziato tra Pnrr e altri fondi europei e il resto garantito.
I soldi che erano usciti dalle casseforti del marchese-principe, una specie di Rockefeller del Diciannovesimo secolo, benefattore unico, ora partono dalle banche centrali del Recovery. Serviranno a realizzare una costruzione molto "sfidante". Si tratta di una "prima" mondiale: piazzare in mare, in mezzo al golfo, cento cassoni di cemento, alti come palazzi di dieci piani. Nessuno al mondo lo ha mai fatto.
Una sfilata di 100 cassoni che saranno la base della diga, lunga 6,2 chilometri, davanti alla delegazione di Sampierdarena, la ex Manchester d'Italia, a protezione delle sue banchine storiche, il vero porto commerciale di oggi, costruito ancora "a a pettine" e che la nuova opera consentirà di trasformare, calando in mare altre migliaia di tonnellate di materiali per costruire grandi piazzali adatti alle nuove modalità del trasporto mondiale: nave- container-treno-collegamenti con autostrade, valichi ferroviari.
L'anima infrastrutturale del corridoio europeo che scende da Rotterdam e può deviare anche verso Lisbona o se volete nel corridoio Reno-Alpi.
Un connessione nuova per velocizzare miliardi di container verso e dall'hinterland italiano, svizzero, austriaco, della Germania del Sud.
Si realizzerà così quel famoso "porto in linea", che Renzo Piano aveva disegnato già nel 2006, presentato con il suo Water Front affossato da Genova, dai suoi potentati conservatori, archiviato al punto da diventare un disegno nel Museo del Mare, stroncato mentre i tribunali mettevano sotto processo il presidente del porto di quel tempo Giovanni Novi, favorevole al mega progetto, poi totalmente assolto.
"Abbiamo vinto contro lo scetticismo", dice il ministro Giovannini dal suo tavolo di Governo dopo che la gara per la diga era stata sbiffata due volte, la prima per il ritiro dei concorrenti, spaventati dall' esplosione dei costi provocata dalla guerra in Ucraina, poi dalla errata composizione del collegio di valutatori dell'appalto.
" Scriviamo la Storia, come il marchese De Ferrari nel 1876 ", dice il presidente Toti. "Cambiamo la faccia di Genova", dice il sindaco.
Ambedue ricordano Colombo e cercano di iscriversi negli annali, mentre Salini il costruttore, affiancato da Giancarlo Gemme, il presidente di Fincantieri Infrastructure, partner dell'operazione. un genovese nato sotto il vecchio ponte Morandi, si fregano le mani e fanno gli scongiuri davanti a una "mission", unica nel panorama mondiale.
Ma questa è l'altalena che va su. Quella che va giù è l'infrastruttura principale per sfruttare la grande diga, preparata per far attraccare a Zena le navi lunghe 350 metri, il famoso Terzo Valico, cioè la linea ferroviaria veloce per collegare in meno di un'ora Genova a Milano, bucando l'Appennino con una galleria di 35 chilometri.
Il Terzo Valico, lanciato da uomini di buon volontà nel 1989, partito, progettato, incominciato a costruire negli anni Novanta, fermato di nuovo per anni dalla partitocrazia della Prima Repubblica tramontante, avversato dalla Fiat degli Agnelli e finalmente ripartito negli anni 2000, quando in campo era entrato, sempre lui, Salini allora Impregilo, si è nuovamente infossato. Questa volta nel vero senso della parola: quando l'82 per cento della galleria principale era già scavato dalle grandi talpe.
Il terreno friabile del ventre appenninico è crollato, seppellendo la talpa che stava scavando il percorso verso Genova. Da luglio i lavori di quest'opera, che è la grande incompiuta, l'Araba Fenice genovese, si è fermata nel silenzio di tutti.
Procedere in altro modo significherebbe allungare i lavori, già in ritardo di almeno cinque anni, di altri tre. Smontare la talpa sotto le macerie, all'interno di una galleria dissestata, è un'operazione costosa, rischiosa e parimenti lunga.
Che fare? Il Terzo Valico era atteso per il 2025-2026, quindi in parallelo con la grande Diga, che parte ora e le cui difficoltà di realizzazione sono diverse e forse meno impattanti.
Lì si tratta di scavare, qui di trovare fondali solidi per piazzare i cassoni alti dieci piani. Opere, quindi, ciclopiche ma possibili con le moderne tecniche di costruzione. Salvo imprevisti come il terreno che cede.
Non potevano fare accertamenti prima, visto che l'opera è in discussione da una trentina di anni??
Ma l'altalena resta giù perché la crisi improvvisa di Ansaldo Energia, oggi la più grande fabbrica genovese, con 2500 dipendenti tra operai e dirigenti, erede della grande tradizione ansaldina, esportatrice nel mondo di centrali, turbine, grandi opere del settore energia, esplode.
I cortei di protesta bloccano la città, la Sopraelevata, arteria centrale di Genova che si paralizza, poi invadono l'aeroporto, che si ferma, dirottando dieci voli, mandando in tilt mezzo Nord Italia .
Ci vorranno due giorni di agitazioni, anche violente con scontri tra operai e polizia (scene che non si vedevano a Genova da decenni) prima che una lettera di Cassa Depositi e Prestiti, il salvagente nazionale, prometta una ricapitalizzazione e quindi un salvataggio in extremis.
L'altalena resta lì, a mezz'aria, ma una delle più importanti proteste sociali di Genova 2022 resta come una miccia accesa che brucia lentamente. Come l'Ilva, l'acciaieria di Cornigliano, l'ex Italsider, che non sa nulla del suo futuro, dei suoi spazi, che sono limitrofi a quelli dell'aeroporto invaso, delle banchine di Sampierdarena, davanti alle quali si immaginano già la nuova Diga.
Insomma Genova è un intreccio di speranze e scommesse, ma anche di rischi enormi. Se si fermassero Ansaldo Energia e Ilva, altro che scommessa del nuovo porto. Rischierebbe di essere una cattedrale nel deserto. Anzi in mezzo al mare.
Ma l'altalena torna a risalire un po' più in là, a Levante, dove i lavori del nuovo Water front, l'area che ospitava la vecchia Fiera del Mare, vanno come treni, come dovrebbe andare il Terzo Valico.
Seguendo il disegno di Renzo Piano le ruspe hanno abbattuto i vecchi padiglioni, gli uffici e stanno scavando un grande canale che collegherà quell'area al Porto Antico.
Si gettano le fondamenta di un mirabolante quartiere residenziale di gran lusso, i cui appartamenti da sogno sono già stati venduti, un po' ai big genovesi e un po' a una clientela milanese, che dopo il lock down, chiede l'affaccio al mare.
E quale affaccio migliore di questo quartiere Foce, ex culla dei cantautori genovesi, dove incomincia la promenade di Corso Italia, in una zona disegnata dall'estro di un'altra gloria genovese dell'architettura, Carlo Daneri: una grande piazza tra palazzi di pregio, un giardino che si riempirà di alberi con un parcheggio sottostante di mille posti auto.
L'altalena rischia di salire troppo e di capovolgersi per l'entusiasmo di questa operazione di restyling urbano che muta un pezzo di Genova, trasformandolo da zona fieristica e di servizi a residenza e tempo libero, con al centro un palasport rinnovato e trasformato (lavori in corso) in campo di gare, tribune per concerti e eventi, piste ciclabili, canali fruibili, zone di fitness.
Tutto in faccia al mare, alle darsene piene di barche, ai porticcioli diventati la nuova esposizione del Salone Nautico, rinato sull'acqua, grande "firma" genovese dal 1961.
Dove si fermerà questa altalena che sale e scende? Non si ferma, come il destino della banca-mamma di Genova, la Carige, da quasi dieci anni in una tempesta senza fine e oggi ancora alla ribalta, dopo che un Tribunale Ue ha accolto i ricorsi dell'ex socio di maggioranza, l'imprenditore Vittorio Malacalza, quello che aveva sfidato Tronchetti Provera nella finanziaria Pirelli e ha annullato il commissariamento stabilito dalla Ue.
Così Malacalza è di nuovo di traverso al percorso della banca, nel pieno della sua fusione con Bper, operazione quasi completata. Quindi Carige giù o su e che ne sarà delle centinaia di milioni che il gruppo Malacalza ha visto evaporare nelle incredibili traversie dell'istituto? Torneranno su o resteranno giù?