Gente d'Italia

Chat su sistemi criptati e anche contatti con servizi segreti Usa

 

 

  L'OSSERVATORIO ITALIANO  di Anonimo Napoletano

 
 

 

 

Nell'inchiesta sul porto di Gioia Tauro sono coinvolti anche quattro presunti narcotrafficanti internazionali di droga: Antonio e Bartolo Bruzzaniti, di 39 e 47 anni, originari della Locride, Bruno Carbone, di 45, napoletano, e Raffaele Imperiale, 48 anni, pure napoletano. È lui il personaggio più noto di questo blitz. Imperiale, che sta scontando una condanna definitiva ad otto anni e quattro mesi di reclusione per traffico di droga, è anche soprannominato “boss dei Van Gogh” perché nel 2016 fu trovato in possesso di due quadri del pittore olandese rubati nel 2002 ad Amsterdam ed il cui valore fu stimato in 130 milioni di euro. Negli anni scorsi si era rifugiato a Dubai dove aveva trascorso cinque anni di latitanza di lusso, prima di essere arrestato ed estradato in Italia. Secondo quanto è emerso dall'inchiesta, Imperiale avrebbe organizzato, assieme ai trafficanti di droga calabresi, l'importazione di oltre due tonnellate di droga, per un valore di ottocento milioni di euro. 

L'inchiesta calabrese è stata agevolata anche dalle chat tra Imperiale e i suoi complici. Chat che viaggiavano su sistemi di messaggistica criptata come “SkyEcc” e “EncroChat”. Ma gli investigatori olandesi che erano sulle tracce di alcuni narcos di Amsterdam sono riusciti a bucare i sistemi criptati e leggere i messaggi. Ne hanno archiviati ben cento milioni. Attraverso l'Europol, nel marzo 2021 quelle chat sono state messe a disposizione di investigatori francesi, belgi e italiani. In Italia sono finite sulle scrivanie dei pool antimafia di Roma, Napoli e Reggio Calabria, ognuno interessato per specifici filoni. Le conversazioni da passare al setaccio sono innumerevoli e solo una parte di esse è stato fino ad oggi vagliato. Dentro c'è di tutto. Trattative, appuntamenti, consigli su come depistare gli investigatori e anche ricordi di precedenti affari. Una miniera per gli 007 antimafia. Imperiale e Carbone avevano contatti con narcos di mezzo mondo, dalla Colombia all'Albania, la Spagna e l'Olanda, soprattutto. Le chat erano protette da “nickname” dedicati e da un “codice alfanumerico identificativo”. Soprannomi come “Plutone”, utilizzato proprio da Raffaele Imperiale, o “Pentagon”. Per risalire al reale interlocutore della conversazione sono state analizzate le informazioni personali contenute nelle chat, come compleanni, foto di località o degli stessi soggetti implicati nell’attività illecita, o ancora il riconoscimento della voce attraverso l’ascolto dei messaggi locali. In molte chat Imperiale discute di affari criminali. Utilizzava un capannone abbandonato a Cesena per smistare la droga in tutto il Nord Italia. Ma ci sono anche altre rivelazioni, come quella della fuga a Dubai che sarebbe avvenuta dall’aeroporto di Kiev. Imperiale aveva trascorso un periodo di latitanza nella capitale ucraina dove girava sempre armato e protetto da bodyguard. Poi ha raggiunto Dubai a bordo di un jet privato. In una chat il suo uomo di fiducia Andrea Deiana racconta: «Lo hanno fatto partire da Kiev con un jet privato. Siamo arrivati sulla pista con quattro Jeep. I servizi americani gli avevano detto di collaborare, gli davano il passaporto. Lui si è rifiutato».

In altre chat si parla del traffico di droga dal porto colombiano di Turbo a Gioia Tauro, con scalo intermedio ad Amsterdam. Il sistema prevedeva lo scambio di container, quello con la merce vera veniva sostituito con quello con la droga: «Bisogna creare un container gemello con banane vere... Ho smosso mezza Colombia per averlo». Il socio calabrese di Imperiale, Bruzzaniti, lo tranquillizza sulle coperture nel porto per evitare controlli: «Bisogna garantire una pensione dorata al funzionario delle Dogane». Nelle confidenze tra boss si  legge anche il progetto di fare il colpo grosso per poi ritirarsi dagli affari per sempre: «L'importante è che facciamo 30 tonnellate, e poi prima di ogni altro stress possiamo anche parlare di andare in pensione che abbiamo fatto tanto per arrivare dove siamo arrivati».

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