di Giulia Belardelli
Gli attacchi con i droni sferrati stamattina all'alba su Kiev e nella regione di Sumy, nel nord-est dell'Ucraina, sono l'ennesima dimostrazione che delle parole di Vladimir Putin non ci si può mai fidare. E il marchio iraniano su quei droni – assieme alle minacce rivolte da Dmitry Medvedev a Israele e alla preoccupazione degli Usa per i favori di Riad a Mosca – fa pensare a un inquietante spin-off mediorientale della guerra in Ucraina, sempre più fuoco di un mondo in subbuglio.
Solo tre giorni fa, durante una conferenza stampa ad Astana, il presidente russo affermava che non c'era più "bisogno" di "attacchi massicci" in Ucraina, dopo i violenti bombardamenti di lunedì scorso in segno di vendetta per il sabotaggio al ponte di Kerch, in Crimea. Oggi l'allarme aereo è risuonato il tutto il Paese, come riporta il giornale ucraino Ukrainska Pravda: oltre che nella capitale, attacchi alle infrastrutture strategiche si sono registrati nelle regioni di Dnipropetrovsk e Sumy, mentre una serie di esplosioni scuoteva le regioni di Odessa, Kharkiv e Zaporizhzhia, dove la centrale nucleare è stata nuovamente disconnessa dalla rete di alimentazione elettrica esterna.
Nell'attacco che ha colpito un edificio residenziale nel quartiere di Shevchenkivskyi, a Kiev, sono rimate uccise tre persone, tra cui una giovane donna incinta di sei mesi e il marito. Anche nella regione di Sumy si contano almeno tre vittime civili. Gli attacchi sono stati condotti con droni di fabbricazione iraniana, denuncia il governo di Kiev, che chiede all'Unione Europea di imporre sanzioni alla Repubblica islamica.
"Russia e Iran si uniscono per diffondere il terrore e la morte", afferma su Twitter il ministro della Difesa ucraina Oleksii Reznikov. I droni "Shahed-136 sono solo uno dei loro strumenti, insieme a Kalibr, Iskander, missili Kh, droni Mojaher-6, Fateh-110, Zolfaghar. Le democrazie e le menti più brillanti del mondo devono unirsi per respingere questi attacchi e sconfiggere il male". Da domenica sera sono 43 i droni kamikaze che sono piovuti sull'Ucraina, ma 37 sono stati abbattuti dalle forze di Kiev, riferisce Yuriy Ignat, portavoce del Comando dell'Aeronautica militare ucraina. Per abbattere i droni "sono stati coinvolti tutti i mezzi, i sistemi missilistici dell'aviazione e altre forze di difesa. Almeno l'86% è stato distrutto, un risultato abbastanza buono". Gli attacchi hanno preso di mira, in particolare, infrastrutture energetiche, causando l'interruzione dell'energia elettrica in centinaia di località. L'Ucraina "ha bisogno di chiudere il cielo sugli impianti energetici", è l'appello lanciato dal ministro dell'Energia di Kiev, Herman Galushchenko.
Se l'impiego di droni per colpire obiettivi "strategici" non è una novità, gli eventi di oggi - con la morte di diversi civili – segnano un ulteriore imbarbarimento nella guerra di Putin. Ne è convinto il generale Leonardo Tricarico, già Capo di Stato Maggiore dell'Aeronautica militare. "Il debutto operativo sulle scene belliche da parte dei droni si può collocare in corrispondenza della guerra dei Balcani, nel 1999. Allora ne furono impiegati 28 di varie nazioni, tutti quanti imperfetti: nessuno, neanche quelli statunitensi, aveva la capacità letale di attaccare, tant'è che bisognava usare i droni in collaborazione con i caccia armati. Da allora l'industria aerospaziale si è concentrata sui droni, di cui è stata compresa la validità come sistema d'arma impiegabile negli scenari bellici. Nello sviluppo e nella fabbricazione si sono lanciati moltissimi Paesi, tra cui la Turchia che li sta fornendo all'Ucraina e l'Iran che - come sappiamo - rifornisce la Russia", ricorda il generale, interpellato da HuffPost sull'utilizzo dei droni in Ucraina.
"I droni di oggi - spiega il generale - hanno dimensioni limitatissime e volano in sciami, come delle vere e proprie vespe: non è semplice disporre di un sistema di difesa che riesca a fermarli, ma l'Ucraina ne ha assolutamente bisogno. I sistemi di difesa possono essere tradizionali, di tipo cinetico (un drone viene abbattuto come se fosse un velivolo), oppure mirati a interferire sui sistemi di guida (il drone collassa per l'interruzione dei segnali di comando)".
Il ricorso ai droni kamikaze per colpire un quartiere residenziale è un nonsense dal punto di vista militare. L'unica logica è quella di ampliare il ventaglio del terrore. "Putin non ha mai avuto scusanti: in questa guerra ci ha abituati al massacro deliberato dei civili. Oggi, con l'uso dei droni per terrorizzare la popolazione civile, ha raggiunto un punto ancora più bieco", commenta Tricarico. "Abbiamo avuto multipla e prolungata evidenza del fatto che la strategia del terrore non funziona con gli ucraini. Il risultato, semmai, rischia di essere l'opposto, ovvero quello di rafforzare ulteriormente il carattere indomito e indomabile di questo popolo", osserva il generale, secondo cui Putin "sembra disposto a utilizzare i droni con la stessa 'disinvoltura' con cui usa gli altri strumenti bellici, ovvero come uno strumento di morte indiscriminata. È un utilizzo particolarmente ignobile perché nessun altro sistema come il drone può essere discriminativo e colpire con precisione gli obiettivi che vengono dati". "Per come è concepito, se venisse utilizzato con una apposita etica, il drone sarebbe il mezzo più sicuro, quello che consente di raggiungere gli obiettivi senza causare danni ad altri non combattenti", spiega. "Invece, per come purtroppo è stato e viene utilizzato, è diventato un mezzo odioso, che altro non fa che accrescere l'ignominia di chi lo usa per terrorizzare e fare stragi di innocenti: lo vediamo nello Yemen, in Siria, in Afghanistan e in altri teatri dimenticati".
Tricarico ricorda come Israele sia "uno dei Paesi che più utilizzano i droni in maniera efficace e coerente: grazie ai droni, il rapporto di letalità tra terroristi e innocenti uccisi è sceso da 1:1 a 1:24". Proprio Israele ritorna negli strali lanciati oggi dal vicepresidente del Consiglio di sicurezza russo Dmitry Medvedev, secondo cui "la decisione del governo israeliano di fornire armi all'Ucraina" è "un passo davvero sconsiderato" che "distruggerà le relazioni tra i nostri Paesi". La disponibilità israeliana a fornire armi all'Ucraina è una risposta all'uso di droni kamikaze iraniani da parte della Russia nel conflitto ucraino: a sottolinearne la necessità, nelle scorse ore, è stato Nachman Shai, ministro israeliano per la Diaspora, affermando che "è giunto il momento di fornire assistenza militare all'Ucraina, come fanno gli Stati Uniti e i paesi della Nato".
Il terzo corno di questo spin-off mediorientale del conflitto riguarda l'Arabia Saudita. Tra i democratici del Congresso Usa continuano a crescere la rabbia e l'allarme per lo schiaffo che Riad ha dato a Washingtion con la decisione dell'Opec+ di ridurre la produzione petrolifera, facendo così gli interessi di Mosca. Dopo aver chiesto all'amministrazione Biden di congelare la vendita di armi e la cooperazione militare con Riad, ora c'è chi teme che l'Arabia Saudita possa condividere con Mosca tecnologia militare segreta americana già in mano ai sauditi. Bisogna "indagare a fondo su questo rischio", ha detto al Pentagono Richard Blumenthal, membro della commissione Forze Armate che ha proposto un anno di congelamento delle forniture militari a Riad. Al Pentagono il senatore democratico chiede "rassicurazioni sul fatto che si stia indagando sulla questione; se ci sono questi rischi, voglio che si determini cosa fare per mitigarli immediatamente", spiega in un'intervista al Guardian. Per Blumenthal, la priorità è garantire che la Russia non possa avere accesso alla tecnologia militare che gli Usa hanno condiviso con i partner sauditi. "Ci consulteremo con il Pentagono, parlando in modo franco sulla loro valutazione sul rischio che questo trasferimento di sistemi di arma avanzati sia già avvenuto", ha detto ancora il democratico. In controluce, quella che si vede è già una guerra mondiale, neanche più tanto "a pezzetti", come diceva qualche tempo fa Papa Francesco.