di Maurizio Guaitoli
"Tre" è in genere il numero perfetto. Ma muta in un cigno nero se parliamo della "trinitas" mefistofelica rappresentata dallo scatenarsi in contemporanea di altrettante crisi mondiali, che stanno sconvolgendo in simultanea sistemi, mercati e società. L'elenco è breve e terribile, perché implica un processo di regressione della globalizzazione da cui tutti, in fondo, hanno un po' da perdere (si veda Le Monde del 12 ottobre, con l'editoriale: "Trois crises qui peuvent changer le monde"). Il Post-Guerra fredda, infatti, si basava su tre pilastri: i dividendi della pace; una Cina "hub" manifatturiero del mondo intero con prodotti a basso prezzo (anche se di scarsa o scadente qualità!); un'energia a buon mercato e praticamente inesauribile, come il gas estratto dagli scisti.
Difficilmente nel prossimo futuro si ricreeranno condizioni così favorevoli simili a quelle che, prima del 24 febbraio, hanno consentito di contenere l'inflazione entro livelli accettabili, permettendo ai Paesi occidentali di vivere e prosperare sulla base di un triplo credito, che faceva riferimento alle casseforti cinesi, alle risorse del pianeta e all'attivismo dei mercati. Che cosa rimane oggi di tutto questo, dopo che il mondo si trova confrontato a una sorta di Armageddon, visto che la guerra in Ucraina minaccia per mano dell'invasore di risolversi in un conflitto nucleare seppur limitato al campo di battaglia?
Vladimir Putin, se davvero messo alle strette, in base alle analisi di molti osservatori occidentali, potrebbe dare seguito alle sue recenti minacce in tal senso, anche se allo stesso modo sono da prendere altrettanto sul serio le misure di ritorsione dei Paesi Nato, per cui quel che resta dell'attuale armata d'invasione potrebbe essere annientata con armi convenzionali avanzate da parte della coalizione di potenze occidentali. In un modo o nell'altro, l'autocrate di Mosca potrebbe scendere dal suo trono inaccessibile, sia che usi l'arma nucleare tattica in Ucraina, sia che decida di continuare l'attuale "Operazione speciale" facendo ricorso al metodo orribile già sperimentato in Cecenia e in Siria, per cui intere città e le loro popolazioni civili vengono rase al suolo e sterminate da una pioggia di missili balistici.
Questi modernissimi "Organi di Stalin" continuano, infatti, a essere lanciati a stormi da sottomarini e da basi mobili di terra, poste a migliaia di chilometri di distanza, all'interno del territorio russo. Questo perché la copertura aerea attuale a disposizione di Kiev, con l'utilizzo dei datati S-300 di fabbricazione russa, e quella che sarà disponibile nell'immediato futuro, con modernissimi sistemi antimissile forniti dai Paesi Nato, potrebbe precludere definitivamente i cieli dell'Ucraina all'aviazione di Mosca.
Ma l'altro aspetto che lascia ancora meno tranquillo il resto del mondo è rappresentato dalla questione di Taiwan: Come ha chiarito il leader maximo cinese, Xi Jinping, nel suo discorso di investitura per il terzo mandato in occasione dei lavori del congresso del Partito comunista cinese, la Cina si riprenderà Taiwan con le buone o con le cattive, avendo fatto di recente prove concrete e grandi manovre navali (con l'utilizzo di armi vere!) in grande stile per l'accerchiamento e la successiva invasione dell'isola contesa.
Nel caso che Pechino dovesse effettivamente attaccare, allora per l'Occidente sarebbe tutta un'altra storia rispetto all'odierna guerra in Ucraina, perché stavolta l'avversario sarebbe davvero super armato con armi evolute e in grado di mettere in campo qualche milione di soldati ben addestrati, avendo tra l'altro basi naturali e artificiali posizionate in punti strategici del Mar Meridionale di Cina, a diretto contratto con le forze navali statunitensi (ancora le più forti del mondo) e dei loro alleati nella regione.
E, di certo, dal punto di vista attuale di Pechino, tendere fino al limite di rottura la molla della tensione internazionale su Taiwan funziona da valvola di sfogo, per stemperare e distrarre dalle profonde crisi interne 1,4 miliardi di cinesi, indirizzando e sviando la loro attenzione verso un nemico esterno, mettendo in primo piano la politica estera e l'orgoglio nazionale, in modo da far dimenticare la crisi economica che sta attraversando la Cina.
Infatti, la produzione industriale e, quindi, la crescita economica cinese (oggi a singola cifra, contro una media storica al di sopra del 10 per cento negli ultimi venti anni), subiscono un netto rallentamento, anche a causa dei lockdown anti-Covid di intere città di decine di milioni di abitanti, mentre l'esplosione della bolla immobiliare sta creando un effetto analogo a quello dei subprime americani del 2008. Pertanto, il rieletto Xi Jinping dovrà navigare tra Scilla e Cariddi: da un lato, senza compromettersi troppo con la Russia, responsabile dell'aggressione all'Ucraina e oggetto di pesanti sanzioni da parte dell'Occidente, non dovrà rischiare che Pechino sia a sua volta sanzionata dagli Stati Uniti e dall'Europa per la violazione dell'embargo a Mosca.
Dall'altro lato, dovrà evitare un pericoloso decoupling (disaccoppiamento) sui mercati globali, rispetto all'interscambio commerciale con l'Occidente. Questo perché il potere stesso dell'oligarchia cinese si regge su un patto implicito con i suoi cittadini, che recita: "Noi vi assicuriamo la prosperità, ma Voi in cambio rinunciate alla libertà politica". Quindi, se dovesse venire a mancare il "dare" (cioè l'assicurazione del mantenimento del benessere per tutti) sottoscritto in quel patto non scritto, verrebbe automaticamente a cadere l'obbligo da parte del popolo cinese della fedeltà assoluta alle decisioni del partito e alla sua leadership, Xi Jinping compreso.
Il terzo grande nemico dell'Occidente è l'inflazione, per cui le banche centrali si vedono costrette ad aumentare i tassi di interesse, utile a deflazionare le economie occidentali ma, al contempo, responsabile di crisi a catena a causa della diminuzione dei consumi e dell'aumento della disoccupazione. Il costo ben più alto del denaro andrà, tra l'altro, a deprimere gli investimenti e la sottoscrizione di mutui bancari, scoraggiando le coppie più giovani all'acquisto della prima casa, questione quest'ultima che ha una ricaduta diretta e ovvia sul tasso di natalità.
Ora, questo stato di crisi finanziaria mondiale, per la teoria del battito d'ali di una farfalla che scatena l'uragano (secondo il cigno nero dei modelli matematici della teoria del caos), potrebbe condurre il mondo alla seconda tragedia finanziaria tipo crollo di Wall Street, preannunciato dal fallimento nel 2008 della Lehman and Brothers(e, oggi, qualcuno spera del tirannico Fondo pigliatutto BlackRock, ma anche e preferibilmente delle società finanziarie di Soros).
Forse per questo, poiché l'epicentro di una simile crisi potrebbe trovarsi in Inghilterra, i Tories stanno tentando di cambiare in corsa il cavallo già bollito di Liz Truss per evitare che il crollo della sterlina (in caduta libera sul dollaro) provochi lo "sbandwagon" delle altre economie occidentali! Ma dollaro, euro, sterlina e caro energia non coincidono con lo spettro pacifico ma fallimentare di 14 anni fa, che ha messo moltissimi a rischio di povertà, ma non della sicurezza collettiva e personale, cosa che una sbandata o un incidente di percorso in Ucraina potrebbe invece produrre.
Vale per tutti, in tal senso, il grido di dolore di Elon Musk, multimiliardario geniale Made in Usa che suona grosso modo così: "Io resto un grande fan dell'Ucraina, ma non della Terza guerra mondiale". Il problema, però, è come rispondere a tono a qualcuno che ti mette la pistola sul tavolo per vincere la partita, rifiutandosi di cedere anche un lembo di un territorio invaso e non suo, ma come tale da lui ribattezzato grazie ai "fake referendum" nel Donbass. Come si dialoga con un simile personaggio che non rispetta le regole comuni e irride al tanto declamato "Diritto internazionale", vero mito dei pavidissimi Politically correct nostrani e statunitensi?
Sarebbe molto facile se la Cina si unisse agli Stati Uniti e all'Europa per dire: adesso basta così, togliendo in seno alle Nazioni Unite alleati e voti a favore della Russia e, soprattutto, tecnologia e risorse finanziarie alla sua industria della guerra e all'economia di Mosca già in grave crisi. Purtroppo, sul tavolo con Pechino pesa la questione più che spinosa di Taiwan, senza la quale avremmo già risolto diplomaticamente il problema.
Ma non in presenza, come oggi sta purtroppo accadendo, di uno stridor d'arme sul fronte-retro dell'intero Occidente (Kiev e Taipei), per cui anche il nostro Papa della pace a ogni costo (invece di quella "giusta", che avrebbe più senso) non saprebbe a quale santo votarsi. In conclusione, il duo Joe Biden e Jerome Powell, governatore attuale della Federal Reserve, sapranno domare uniti i rischi di una Wall Street 2.0 e di un non più impossibile scontro all'arma atomica con Putin? "That is The Question!".