di James Hansen
Le crescenti tensioni tra le 'grandi potenze'—segnatamente Cina, Stati Uniti e chi sogna di essere (ri)considerata tale, cioè la Russia—rendono la vita difficile ai paesi minori che ambiscono solo a sopravvivere decentemente in mezzo alla pericolosa confusione attuale.
Il caso esemplare è quello del Vietnam, un paese di modeste dimensioni condannato dalla geografia e dalla storia a barcamenarsi tra gli interessi contrastanti americani, russi e cinesi—cosa che negli ultimi decenni è riuscito a fare con notevole abilità.
Le linee guida del comportamento vietnamita sono costruite attorno ai quattro 'no' della sua politica estera: 'no' a basi militari straniere sul suo suolo, 'no' ad alleanze militari con altri paesi, 'no' alla cooperazione con altri contro paesi terzi e, infine, 'no' ad ogni utilizzo della forza—o la minaccia di usarla—nelle relazioni internazionali.
È una ricetta che rispecchia non tanto la saggezza della sua leadership quanto la complessa realtà nella quale il Paese vive. Confina direttamente con la Cina, ha oltre 3.200 km di coste esposte sul mare—un punto di vulnerabilità—e, dopo essere riuscito nell'impresa di umiliare la potenza militare Usa, convive tutto sommato felicemente con gli americani. Intanto, acquista i suoi armamenti dalla 'lontana' Russia, dalla quale non ha nulla da temere militarmente.
Soprattutto, è riuscito a farsi rispettare da Beijing. Sulla scia della vittoria dei Viet Cong sugli americani, la Cina—le cui ambizioni sono sempre condizionate dal bieco opportunismo—ha tentato di invadere il paese, presumibilmente indebolito dalla lunga contesa con gli Usa. Nel febbraio del 1979 Beijing ha improvvisamente mandato un esercito di 400mila truppe regolari e 500 carri oltre il confine settentrionale del Vietnam—fischiettando, come Vladimir Putin in Ucraina, per la facilità dell'impresa e per l'inevitabile vittoria...
In 3 settimane e 6 giorni—dal 17 febbraio al 16 marzo—i vietnamiti, 'induriti' dal lungo conflitto con gli americani, sono riusciti a sconfiggere totalmente i cinesi, respingendoli in patria con la coda tra le gambe e recuperando una notevole quantità di materiale bellico abbandonato dalle truppe di Beijing in fuga. Comprensibilmente, i cinesi parlano pochissimo dell'invasione fallita—e quando è necessario farlo la chiamano il "Contrattacco difensivo contro il Vietnam"...
Da allora, la Cina è tornata ad essere il principale partner commerciale dei vietnamiti. Gli affari sono affari... Il 'Drago' però è sempre lì, appena oltre il confine. Intanto, l'arrivo degli armamenti dalla Russia si fa incerto e—per motivi se non altro 'storici'—Hanoi non può cercare appoggi militari dagli americani. Il Vietnam abita un angolo scomodo della Terra e deve solo sperare che non si guastino troppo gli equilibri che finora hanno permesso al paese di prosperare.