di Alessandro De Angelis
Sono le 10,11 quando Giorgia Meloni, la prima premier donna della storia d'Italia, voce poco stentorea (recupera Matteo Salvini per tutti con quel vocione, non male come decibel neanche Francesco Lollobrigida) pronuncia la formula di rito. A memoria – sguardo fisso su Sergio Mattarella - senza leggere. L'unica del governo, dettaglio che rivela il tutto perché il tutto, in un governo senza star, pesi massimi e profili stellari, è lei per scelta o per rifiuti collezionati. Onori e oneri, responsabilità e rischi.
Poi, secondo cerimoniale, si colloca alla sinistra di Mattarella, che ha un'aria particolarmente rilassata, bonaria, non paternalistica, forse da "normalità" ritrovata in una sala dove solo un funzionario del Colle indossa una mascherina. L'ultima volta, con Draghi, a ogni firma veniva cambiata la penna, in piena pandemia e agli albori della campagna vaccinale. E chissà se di questa "normalità" fa parte anche il recupero di un processo lineare, vuoi mettere con gli ottanta giorni di consultazioni di cinque anni fa: c'è un governo scelto dal popolo, nato in un mese scarso, nei ministeri chiave non ci sono scalmanati né bevitori di vodka. Di questi tempi, non è poco.
Meloni, inquadriamo lei, in tailleur nero e lo sguardo che ogni tanto si indirizza accudente verso Ginevra, in prima fila, vestita color panna un po' prima comunione. Fa un po' il paio con l'outfit da battesimo delle due ministre, Elisabetta Casellati e Alessandra Locatelli, di bianco vestite. Composta pure lei, la bimba, scesa pochi minuti prima dalla 500 bianca un po' saltellante per la gioia dei fotografi, in una giornata che di "colore" ne ha poco. Ci sta che, nell'emozione del salone degli stucchi, serva un sorsetto d'acqua. E si vede proprio che è il governo della Famiglia tradizionale, dal numero parenti e bambini che affollano le sedie per gli "ospiti", un inedito.
Oggettivamente Giorgia non ne sbaglia una: non muta l'espressione del volto (nessuna smorfia fuori posto), non cambia postura, sempre lo stesso calore e cordialità nella stretta di mano ai ministri. E anche questo è mestiere se la stretta (e la smorfia) è la stessa tra Salvini e Crosetto. È un attimo, con le telecamere che zoommano sul sopracciglio alla ricerca un moto dell'anima, e ti ritrovi un titolo. Ed è inevitabile il raffronto con le ostentazioni del berlusconismo, i tacchi, i sartoriali e pure i gossip (a proposito tutte le donne in pantaloni). E pure con la prima dei "barbari" nel 2018, le pose scomposte e l'orecchino di Rocco Casalino, la bulimia dichiaratoria e le cravatte allentate con la folla fuori eccitata dalla rivoluzione contro l'establishment promessa a parole. Ci pensano Viktor Orbán e Marine Le Pen a sottolineare il giorno di festa della destra-destra più che le folle in piazza del Quirinale. Che non è un demerito, ma dà l'idea del clima, in un paese stanco: abbiamo riempito le urne, ora poche chiacchiere e governate.
E menomale che c'è Guido Crosetto, la star dei cameraman, che a un "Guido, ti vogliamo bene", si ferma: "Sento una grande responsabilità sulle spalle, sono consapevole delle difficoltà da affrontare". Proprio così, pare il presidente della Repubblica: "Chi va al governo non rappresenta più una parte, ma l'intera nazione". E chissà quanto dura questo zucchero, visto l'assetto. Non cede alla vanità neanche la Pitonessa Daniela Santanchè che falca il piazzale su uno stiletto oro vertiginoso. E allora capisci che c'è anche un ordine di scuderia, come la sera del voto, in cui si evitarono i festeggiamenti. Povero Salvini, non sembra più lui, pare inibito da questo clima un po' missino, disciplinato. E da una sobrietà che è un po' via della Scrofa un po' imbarazzo o entrambe, nel senso di una prima volta di via della Scrofa meloniana, per cui anche Nello Musumeci e Raffaele Fitto, nell'attesa del loro turno, attendono un po' curiali con le mani giunte. E Gennaro Sangiuliano, il primo ad arrivare, è prudente nelle chiacchiere con gli ex colleghi.
Rieccolo Salvini già in crisi di astinenza mediatica che, a cerimonia finita, si precipita al ministero, per postare una foto dalla sua nuova scrivania, che non è quella della battaglia navale, ma si deve fare di necessità virtù: "Pronti al lavoro". Vabbè, cerchiamo un commento su quel che c'è sotto il vestito della cerimonia. La collega della tv di Stato polacca è raggiante: "La politica del mio paese si sposa con il governo di destra che si è appena formato in Italia". E tanti auguri.