di Nadia Boffa
Ecco, si ricomincia. Sono passati tre giorni da quando il leader della Lega Matteo Salvini è stato nominato ministro delle Infrastrutture e della Mobilità Sostenibile. E già torna a prendersela con le Ong nel Mare Mediterraneo, il suo cavallo di battaglia. Il vicepremier stamane ha incontrato l'Ammiraglio Nicola Carlone, comandante generale della Guardia Costiera. "Un incontro lungo e proficuo" si legge in una nota della Guardia Costiera in cui si è "fatto il punto della situazione, anche a proposito di immigrazione. "Attualmente in area Sar libica - puntualizza la nota - ci sono due imbarcazioni ong". All'incontro, stando a quanto appare dalle foto pubblicate, era presente, tra l'altro l'ex sottosegretario leghista alle Infrastrutture Edoardo Rixi. Guarda caso, l'uomo che Salvini, fino a poco prima della lista ufficiale dei ministri - quando ancora era certo che avrebbe tenuto per sé la delega sui porti - avrebbe voluto come sottosegretario delegato agli scali. E il colloquio con Carlone non può essere più simbolico di così: il leader del Carroccio ha rinunciato al Viminale, ma non intende rinunciare ai porti, che rimangono la sua vera arma di battaglia per riacquisire consensi. Un'arma che Meloni sta tentando da giorni di togliere al collega, paventando l'ipotesi di affidare la delega ai porti al suo fedelissimo Nello Musumeci, ex presidente della Sicilia, titolare del nuovissimo ministero del Mare.
Solo tre giorni e Salvini torna con il suo slogan preferito #chiudiamoiporti, attuato quando nel 2018 era ministro dell'interno, durante il governo giallo-verde. La politica di chiusura dei porti è stata lanciata il 10 giugno 2018 con un tweet di Salvini che conteneva per l'appunto questo hashtag. L'allora capo del Viminale aveva negato l'attracco alla nave Aquarius. Poco tempo dopo, lo stesso ministro degli Interni aveva attuato una stretta conclusasi con il diniego di sbarcare in Italia anche ai migranti della Diciotti. Ma il primo vero caso di respingimento era avvenuto il 29 giugno di quell'anno. Quel giorno, l'allora ministro delle Infrastrutture Toninelli aveva negato l'autorizzazione a sbarcare a due navi gestite da due ong e cariche di migranti: l'Open Arms e la Astral. Il ministro aveva motivato la chiusura dei porti per quelle imbarcazioni "in ragione di una nota del ministro dell'Interno che adduce motivi di ordine pubblico". Ma, nonostante l'annuncio, non è mai seguito nessun documento ufficiale. Inchieste giornalistiche e richieste di accesso agli atti degli avvocati delle ong, come è successo per il caso della mare Jonio, a cui anche è stato negato l'attracco, hanno dimostrato che non era mai stato emesso nessun documento ufficiale nemmeno per la Open Arms e la Astral. Nel caso mare Jonio, la conferma è arrivata dal comando generale del corpo capitanerie di porto del ministero. Peraltro Salvini è ancora imputato per sequestro di persona e rifiuto di atti d'ufficio per aver impedito nell'agosto 2019, quando era ministro dell'Interno, lo sbarco di 147 migranti soccorsi dalla Open Arms.
I porti italiani in realtà, da un punto di vista giuridico, non sono mai stati chiusi. Il ministero competente – quello dei Trasporti – non ha emanato allora alcun provvedimento che andasse in questa direzione, e nemmeno lo ha fatto il Ministero dell'Interno guidato da Salvini. E il problema è proprio questo: ora Salvini è ministro delle Infrastrutture e dei trasporti, dunque, come stabilisce l'articolo 83 del Codice della navigazione "può limitare o vietare il transito e la sosta di navi mercantili nel mare territoriale, per motivi di ordine pubblico, di sicurezza della navigazione (...) determinando le zone alle quali il divieto si estende".
La questione delle Ong e dei porti tira in ballo anche il nuovissimo e fortemente voluto dalla neopremier ministero del Mare. Il ministero nato un po' azzoppato: in realtà è un dicastero a metà, con Musumeci, che ne è a capo, che è ministro senza portafoglio e a cui, soprattutto, non è stata concessa la delega sui porti. "Avremo tempo per parlare anche di questo" ha riferito Il neo ministro del Sud e delle politiche del Mare Nello Musumeci, sabato scorso, fresco di giuramento mentre andava via dal palazzo del Quirinale. Lasciando intendere che la questione fosse ancora aperta. Pare però che Salvini abbia avuto la meglio su Musumeci. La giurisdizione sui porti, che sono la via di accesso primaria dei migranti, resta per il momento al ministero dei Trasporti e delle Infrastrutture, quindi al leader leghista, che ha dovuto accettare di non tornare al Viminale, ma in compenso ha rivendicato per sé un ministero dal quale può esercitare ancora il controllo sugli sbarchi. Il ministero del Mare rimane invece ancora formalmente vuoto, con competenze ancora tutte da definire.
L'incontro di stamane con la Guardia Costiera è un avvertimento da parte di Salvini per la collega Meloni, che da giorni coltiva la forte tentazione di affidare la delega ai porti all'amico Musumeci, che conosce bene la materia. La neopremier vuole impedire o limitare in partenza una possibile propaganda permanente da parte di Salvini che abbia come tema l'immigrazione e gli sbarchi. Anche in campagna elettorale i due sul tema si sono scontrati ripetutamente, con la presidente di FdI che sosteneva l'ipotesi di fermare i flussi migratori con il blocco navale, mentre Salvini ribadiva l'utilità dei decreti sicurezza, che, ha affermato a più riprese, avrebbe riproposto identici una volta insediato il governo. Il leader della Lega sa che quello degli sbarchi e quindi della situazione e delle Ong è una delle poche armi che gli rimangono per catturare consensi e non può lasciarsela scappare. Va bene affidare il Viminale a Piantedosi, ma sui porti non si transige. Ed è meglio far vedere subito a tutti che delle Ong si occuperà lui stesso. Meloni e Musumeci avvertiti.