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DI SILVANA MANGIONE

Celebriamo la settimana della lingua italiana, le giornate dedicate ai vari aspetti della nostra infinita cultura, siamo fra le lingue più amate del mondo, ci battiamo le pacche di congratulazione sulle spalle, ma intere generazioni di italodiscendenti non parlano una parola d'italiano.

In alcuni Paesi, fra USA e Canada, l'italiano fra i figli degli emigrati è rimasto vittima di una sorta di "morte bianca", dovuta alla paura di discriminazione in seguito agli internamenti dei nostri connazionali durante la II Guerra mondiale, quando l'Italia combatteva sul fronte opposto. Saggi genitori e nonni tremebondi proibivano ai figli di parlare italiano e, dato che molti di loro conoscevano soltanto le lingue vernacolari del paesello d'origine, quel po' di linguaggio che i ragazzi imparavano dalle nonne era un dialetto locale, deformato dall'assorbimento di parole straniere. Così sono nati il broccolino, lo spagnollo e molti altri idiomi, inventati per la necessità di comunicare con il mondo esterno e straniero, in cui avevano preso dimora gli esponenti dell'emigrazione tradizionale. Con il passare delle generazioni, l'uso dell'italiano è praticamente sparito in molte comunità. Un esempio plateale è quello di una buona parte dei Consiglieri del Com.It.Es. di Montevideo che, per poter intervenire nelle riunioni, pretendevano di imporre lo spagnolo come lingua ufficiale.

La maggioranza schiacciante dei Consiglieri lamortiani avrebbe approvato subito quella mozione. Per fortuna SE l'Ambasciatore Iannuzzi è intervenuto spiegando perentoriamente che il linguaggio ufficiale di un organismo di rappresentanza degli italiani all'estero può essere soltanto l'Italiano! Peggio ancora: la maggior parte dei discendenti dell'antica emigrazione, che ricostruiscono il loro diritto alla cittadinanza attraverso un lontano antenato, non parlano una parola d'italiano. Ci fu un sollevamento globale, quando venne approvata la norma che imponeva a questi candidati al riconoscimento della cittadinanza di dimostrare la conoscenza della nostra lingua almeno a livello B1, come sancito dai criteri internazionali. Il terrore degli aspiranti cresceva e l'avidità dei soliti furbi ne approfittava creando improbabili centri d'esame, senza alcun controllo, ove gli esaminandi, con pagamento di congrue prebende, avrebbero potuto essere promossi e confermati italofoni.

La cittadinanza, lo sappiamo, non consiste soltanto nell'acquisizione di una serie di diritti molto importanti, fra cui quelli di girare liberamente nei territori dell'Unione europea e di ottenere più facilmente il visto d'ingresso negli USA. La cittadinanza significa appartenenza culturale, conoscenza approfondita del Paese d'origine, capacità di comunicare con i concittadini, ovunque si trovino. Proprio su queste basi fu approvata nel lontano 1971 la legge 153, che imponeva allo Stato il dovere di insegnare la nostra lingua: "ai lavoratori italiani e famiglie".

In base alla 153 nacquero molte scuole e i cosiddetti enti gestori dei corsi di italiano che, inizialmente aprivano classi di doposcuola per bambini e adulti. Poi i dirigenti degli enti gestori, e alcuni diplomatici illuminati alla Farnesina, capirono che bisognava fare di più. Il MAECI insieme al CGIE organizzò nel 1996 un magnifico "Convegno sulle iniziative per l'insegnamento e la diffusione della lingua e cultura italiana all'estero nel quadro della promozione culturale e della cooperazione internazionale". Il Convegno si tenne a Montecatini e si aprì con i messaggi di saluto degli allora: Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro, Presidente del Consiglio Lamberto Dini, Ministro dell'Università e della ricerca Scientifica Giorgio Salvini e del Presidente della Commissione Esteri della Camera dei Deputati Mirko Tremaglia. Dopo gli interventi delle autorità ci furono le relazioni introduttive delle tre aree geografiche: Europa e Nord Africa, America Latina, Paesi anglofoni extraeuropei.

L'Europa fece una bellissima disquisizione sulle difficoltà di integrazione e l'esigenza di ripensare l'intervento scolastico; l'America Latina elencò con grande chiarezza ed eleganza gli interventi a favore delle comunità in generale e non soltanto per l'insegnamento dell'italiano; gli anglofoni extraeuropei, con la mia voce, lanciarono una bomba. Il Convegno, secondo noi, doveva tracciare un unico "progetto politico" di investimento nella promozione e nella diffusione della lingua e della cultura italiana all'estero e impegnare il Parlamento e il Governo ad adottarlo nelle sue linee strategiche e renderlo possibile nelle sue applicazioni tattiche e concrete. In parole povere stavamo dicendo: aggiornate la legge 153 e stanziate i fondi necessari a trasformare la visione dell'insegnamento dell'italiano all'estero da "lingua etnica" a "lingua di cultura e di affari". Fermo restando l'obbligo di insegnare l'italiano a tutti gli emigrati e le loro famiglie, bisognava aprirsi al mondo.

Dicemmo che l'italianità, che comprende non soltanto i cittadini. ma anche tutti coloro che hanno origine italiana, è di per sé un diritto e, al contempo, un bene che l'Italia deve riconoscere e proteggere. L'italianità non è soltanto una sensazione o un sentimento o un modo di essere e vivere e comportarsi. L'italianità è "un diritto umano culturale", che accomuna tutti coloro che hanno sangue italiano. L'italianità così intesa, sostenevamo, è un patrimonio prima di tutto per l'Italia, un'Italia che noi italiani all'estero vorremmo meno provinciale e chiusa, ma aperta e grande quanto la grande Nazione degli Italiani nel mondo. E citammo il poeta Buttitta, il quale dice che un popolo può essere conquistato, oppresso, sparso ai quattro angoli del globo, ma rimane un popolo con la sua identità culturale e la sua forza vitale finché mantiene la propria lingua. Nella risoluzione finale riaffermammo che "La lingua e la cultura rappresentano una ricchezza insostituibile per la società civile° ed evidenziammo °La portata per l'Italia del ruolo degli italiani all'estero, fattori determinanti del raccordo fra il Paese d'origine e quello di accoglimento; portatori di bilinguismo e biculturalismo; produttori e fruitori di cultura", prima di tutto, aggiungo ora, attraverso i media dell'informazione per gli italiani all'estero. Che cosa è successo dopo il Convegno? Ve lo racconto prestissimo.....