di Franco Manzitti
Lula ritorna presidente del Brasile, la terza vittoria, la più difficile. Ha vinto l'ex operaio metalmeccanico Luis Ignacio da Silva detto Lula.
Così erano le previsioni, Lula ha conquistato il governo del gigante sudamericano, il Brasile, per la terza volta e contro il capitano Jair Bolsonaro.
Lula ha 77 anni e sembra il protagonista di un romanzo di Dumas, tra vita dura da operaio, ascesa da sindacalista metalmeccanico, fondatore di un partito che conquista il paese più grande dell'America Latina. 220 milioni di abitanti, una economia che ai tempi della sua prima vittoria era diventata leader del famoso BRIC- Il gruppo dei paesi emergenti diventati protagonisti planetari, Brasile, Russia, India, Cina.
Una ascesa poi trasformata in una caduta clamorosa con l'arresto, lo scandalo per corruzione, la lunga detenzione e infine la totale assoluzione, seguita da una liberazione trionfale, anticamera del successo di oggi.
I brasiliani hanno avuto paura dell'estremismo di Bolsonaro, il leader che aveva abbandonato il suo popolo durante la pandemia. E aveva cooptato 400 ufficiali delle Forze armate nel suo governo e nell'alta burocrazia dello Stato. Così dando un'impronta militare a un governo che assomigliava sempre di più a quello dei generali. Fino al 1987 padroni di un Brasile nel gendarme del Sudamerica, dove scorrazzavano "le squadre della morte".
Vittoria di stretta misura quella di Lula, con il 50,9 contro il 49,1 del capitano, vittoria ancora sospesa perché Bolsonaro non l'ha ancora riconosciuta, consentendo solo il passaggio delle consegne. Che avverrà, però, solo a dicembre, aprendo un periodo di instabilità pericolosa nella quale Lula dovrà mediare molto. Il Brasile è uno stato federale nel quale molte regioni federali sono state conquistate dall'opposizione. Che farà la voce grossa di fronte ai provvedimenti nuovi che il governo dovrà varare per fronteggiare una crisi economica durissima.
Lula deve fermare una inflazione cavalcante, adeguare i salari a costi della vita vertiginosamente aumentati, stabilizzare i prezzi dell'energia, proteggere i popoli originari. Sopratutto salvare l'Amazzonia, polmone del pianeta, che Bolsonaro stava disboscando con il progetto finale di una colossale autostrada che la attraversasse, lasciando l'operazione in mano a pericolosi speculatori.
Insomma un compito immane che parte in salita, ma che ha un vantaggio importante nel contesto regionale sudamericano, sfuggito alla maggior parte degli osservatori, impegnati nel conflitto europeo e nei grandi cambiamenti geopolitici.
Prima del Brasile, in rapida sequenza, per la prima volta nella Storia ben cinque paesi sudamericani hanno governi progressisti. Dall'Argentina al Cile, alla Colombia, al Messico. Ora è possibile dopo decenni un piano di crescita comune, con le dovute differenze che la parte sud del Continente americano non è mai stato in grado di sviluppare.
Ma dipende molto da Lula, dal Brasile, dalla sua capacità innanzitutto di far maturare una riconciliazione nazionale più che necessaria, dopo un quindicennio di grandi tribolazioni.
Jair Bolsonaro farà di tutto per impedire questo, boicottando e non restando solo a ammirare il panorama dalla sua faraonica abitazione di Barra de Tijuca, il quartiere fronte mare di Rio de Janeiro.
Non trascurerà il suo ufficio sacerdotale nella chiesa evangelica, una potenza che aveva consentito la sua elezione e che è così determinate nel gigante sudamericano.
Lula ha già vissuto pericolosamente e con coraggio. Bolsonaro ha dieci anni di meno, tre figli maschi tutti impegnati in politica. Li proteggerà e li aiuterà a opporsi a una transizione complicata. Intanto tace, continuando a governare con tutti i suoi poteri intatti, come stabilisce una Costituzione quasi arcaica fino al 31 dicembre.