di Massimiliano Di Pace
Mentre il ministro della Difesa russo Sergey Shoigu ha fatto il 9 novembre salti mortali e arrampicate sugli specchi per far digerire a Vladimir Putin e ai suoi concittadini la ritirata da Kherson, spacciata per un'operazione umanitaria a tutela dei civili residenti nella capitale della più occidentale delle quattro regioni ucraine annesse dalla Federazione russa, oltre che come una intelligente mossa finalizzata a rendere più efficiente la logistica dell'esercito russo (come se quest'ultimo fosse un competitor di Amazon), come riportano gli ubbidienti media russi, a cominciare dal quotidiano Izvestia, la governatrice della Banca centrale russa, Elvira Nabiullina, in un discorso tenuto alla Duma russa l'8 novembre, per illustrare gli scenari economici, e le conseguenti misure di politica monetaria, addirittura per il prossimo triennio 2023-2025 (come guardano lontano i russi...), senza troppi giri di parole ha comunicato ai parlamentari che la Russia è nei guai (economici, e a quanto pare, non solo in quelli).
Intanto, con dispetto del campione mondiale della diplomazia che risponde al nome di Vladimir Putin, la governatrice ha ammesso che le sanzioni occidentali hanno alterato i legami economici internazionali della Russia, e che quelli vecchi, che sono stati rotti, devono ancora essere sostituiti da nuove relazioni. Per assicurarsi poi che i membri della Duma, notoriamente refrattari alla realtà, abbiano ben capito il concetto, Nabiullina ha poi aggiunto che:
1) L'economia russa è sottoposta a una profonda trasformazione strutturale, con molte imprese russe ancora alla ricerca di nuovi sbocchi di mercato e di nuovi fornitori;
2) Conseguentemente, diverse imprese russe si stanno concentrando sul mercato domestico (visto che nessuno compra più i loro prodotti dall'estero), e stanno cambiando tipologia di prodotti per restare sul mercato;
3) Questo processo è molto complicato e richiede molto tempo (almeno un paio d'anni), e l'esito è tutt'altro che scontato;
4) In tutto questo le sanzioni si stanno intensificando, e toccano anche partner economici non occidentali.
Dopo una premessa di questo tipo, non sorprende poi la confessione finale che la governatrice della Banca centrale russa fa, smentendo così uno dei pilastri della propaganda putiniana, ossia che "le sanzioni sono molto potenti, e non dobbiamo sottostimare il loro impatto sulla Russia e sull'economia mondiale, e non possiamo evitare la loro influenza". Una tale esplicita sfida alla retorica di Putin fa sospettare che Nabiullina abbia deciso di sostituire Putin ai vertici della Federazione russa (e tutto sommato non sarebbe una cosa cattiva), oppure predisporre le condizioni per chiedere asilo politico in Occidente (ammesso che ci arrivi viva...). Conseguenza di questa ammissione è che i responsabili della politica economica della Federazione russa devono predisporre le condizioni affinché famiglie e imprese russe si adattino al nuovo contesto (ossia a vivere e produrre peggio).
Nabiullina ha poi respinto (seppur gentilmente) la richiesta dei membri della Duma di dare priorità allo sviluppo economico, piuttosto che alla stabilità, ricordando che quest'ultima è una condizione della prima, insieme ad una bassa inflazione e ad una finanza pubblica in equilibrio (ricetta ovviamente valida a tutte le latitudini, comprese le nostre).
A parte qualche temerario riferimento alla realtà effettiva, e non a quella immaginata dal grande capo (Vladimir I, ovviamente), bisogna ammettere che il discorso di Elvira Nabiullina è interessante, basandosi su un precario equilibrio tra l'ortodossia lessicale putiniana (sostituendo ad esempio il termine "guerra" con "eventi di Febbraio – Marzo"), e l'approccio verista, che è tanto necessario quanto deontologico quando si è responsabili della più tecnica componente della politica economica, ovvero la politica monetaria. A proposito di politica monetaria la governatrice indica prima le linee guida, e poi i possibili scenari in cui il suo paese potrebbe trovarsi. Sul primo fronte, la governatrice della Banca centrale russa si allinea all'ordine mondiale made in West, affermando che la priorità è la lotta all'inflazione, attualmente al 12-13% (ma sarà russa la Nabiullina?), e in questa ottica ha giustificato l'innalzamento del tasso di interesse, subito dopo la guerra, al 20%, che ha permesso di frenare i prelievi dai conti effettuati da famiglie e imprese russe. Ammettendo poi che con il blocco delle riserve valutarie da parte di Europa e Usa era impossibile intervenire nei modi tradizionali sul tasso di cambio del rublo (che inizialmente era crollato), la principale economista russa ha rivendicato che solo il controllo del movimento di capitali (ossia l'impossibilità di cambiare i rubli) ha consentito di raggiungere la stabilizzazione del tasso di cambio (che quindi è dopato), e che questo controllo continuerà nel prossimo futuro. Vi è stato invece un cambio di rotta con il tasso di interesse, ridotto al 7,5% a settembre, e questo per consentire la ripresa di un'economia, evidentemente sotto shock per la nuova situazione (leggi, la tempesta sanzionatoria), che ha determinato caduta dei consumi e degli investimenti. Questa misura ha prodotto effettivamente una ripresa dei prestiti, soprattutto da parte delle imprese, e questo anche grazie al fatto che il sistema bancario russo ha tenuto bene in occasione della peggiore crisi degli ultimi anni. Si è però in attesa delle statistiche sulle sofferenze, che daranno indicazioni sui rischi futuri del sistema bancario della Federazione russa.
Nel suo lucido racconto della situazione, la governatrice ha anche ammesso che l'escalation determinata dall'annessione di quattro regioni ucraine (ovvero "i fatti delle ultime sei settimane", nel linguaggio neutrale dell'economista) ha aumentato le ansie della popolazione civile russa, e ha peggiorato ulteriormente la loro situazione finanziaria, tanto che è ripreso il flusso di ritiro di soldi dalle banche (circostanza confermata da un articolo di Izvestia del 10 novembre, in cui si è segnalato che si è arrivati al record di soldi detenuti cash da famiglie e imprese russe, ovvero14,2 trilioni di rubli, pari a 230 miliardi di euro). Per quanto riguarda le previsioni, la Banca centrale russa ammette che la guerra ha determinato per il 2022 una riduzione del Pil di 3-3,5%, che continuerà anche nel prossimo anno, mentre, se non succedono fatti nuovi, la ripresa dell'economia russa avrà luogo nel 2025.
Nabiullina dipinge poi l'evoluzione dell'economia russa sulla base di due scenari alternativi a quello base, ossia un veloce adattamento degli operatori economici localizzati a Mosca e negli altri territori della Federazione alla nuova situazione, oppure una crisi profonda a livello globale. Nel primo caso, che dipenderà dalla capacita delle aziende russe di allacciare nuovi rapporti economici con operatori esteri sostituitivi di quelli occidentali, la performance economica complessiva potrebbe essere migliore di quella dello scenario base (ma senza indicare numeri, salvo per l'inflazione, che sarà più bassa). Nel secondo scenario, basato su un'inflazione mondiale più alta, politiche monetarie restrittive dovunque, aumento dei costi del servizio del debito per tutti, perdita di valore degli asset finanziari in cui sono investiti i risparmi a livello globale, il tutto condito dal peggioramento della situazione geopolitica, la Nabiullina non esclude una crisi a livello globale, e ovviamente anche della Russia, come quella del 2008 (scatenata dal fallimento della Lehman Brothers). Per la Russia, in una tale situazione, le cose andranno molto peggio di quanto previsto oggi, e questo comporterà una politica monetaria molto più restrittiva da parte della Banca centrale russa. In ogni caso Nabiullina invita le banche russe a sostenere lo sforzo di adattamento delle aziende del proprio paese al nuovo contesto, ma, riconoscendo al tempo stesso che la crisi determina maggiori rischi di sofferenze, con danni per l'assetto patrimoniale delle banche, ammette che occorre prevedere incentivi per gli operatori finanziari ad impegnarsi su questa strada, e questo spetta al Governo russo, il quale potrebbe garantire i prestiti alle aziende (come avvenuto in Italia durante la pandemia).
Per comprendere appieno le considerazioni della governatrice della banca centrale russa, vale la pena segnalare che, mentre in Europa molte famiglie investono in attività finanziarie (titoli e quote di fondi di investimento), i russi tendono ad investire i loro risparmi in case, in dacie, ed in macchine di lusso, e questo priva il sistemo economico russo di quella linfa vitale che è il risparmio, che poi viene utilizzato dalle banche per i prestiti. Ecco il motivo per cui Nabiullina conclude il suo discorso ricordando che, data la necessità di enormi risorse per gli investimenti per la ristrutturazione (ossia la perestroika) del sistema produttivo russo, questi non potranno provenire solo dai prestiti, ma dovranno essere effettuati con iniezioni di capitali propri nelle società (ossia in azioni), e questo richiede la modernizzazione del mercato finanziario da una parte, anche con la creazione dei fondi di investimento, e dall'altra, la disponibilità degli imprenditori russi a diluire la loro partecipazione nel capitale societario, anche perdendo il controllo. A supporto di quest'ultima considerazione, la governatrice ricorda che le poche società russe presenti nel listino della Borsa di Mosca si limitano a quotare, in media, solo il 33% del proprio capitale. Il problema, chiosa Nabiullina, è che gli investimenti in azioni richiedono trasparenza delle aziende quotate, le quali devono dare molte informazioni, e questo oggi non avviene (come accade d'altronde nella politica e nei media russi). Al riguardo è opportuno segnalare una peculiarità della società civile russa, ossia che, anche tra amici, si tende a tenere segreti i fatti propri, a cominciare da reddito, tipo di lavoro, e beni di cui si dispone, e questo permette di capire meglio le ragioni della rivoluzione culturale avviata da Gorbaciov 40 anni fa, che invitava i suoi concittadini alla Glasnost (ossia alla trasparenza).
L'ultimo problema richiamato da Nabiullina è quello dei pagamenti internazionali, duramente colpiti dalle sanzioni. Per uscirne bisognerebbe usare i rubli, ma ancora una volta la governatrice riconosce che i (pochi) partner stranieri che operano con la Russia hanno molti dubbi sul valore del rublo, e un'elevata inflazione non certo alimenta fiducia nella valuta della Russia. L'approccio monetarista all'economia non ha però permesso a Nabiullina di proporre quello che ha consentito all'Italia di uscire da una crisi ancora peggiore rispetto a quella russa, ossia quella in cui si è trovato il nostro paese dopo la seconda guerra mondiale, quando era uscito distrutto e perdente dal conflitto. L'Italia riuscì allora a risollevarsi dalla crisi grazie, non solo all'apporto di una classe imprenditoriale eccezionale (che oggi purtroppo manca), ma anche per l'intervento dello Stato nell'economia, con l'Iri ed altre aziende pubbliche (tra cui l'Agip-Eni), che con soldi pubblici fondarono o svilupparono molte aziende industriali, che hanno reso il nostro paese una potenza economica, e di cui oggi godiamo (senza merito in verità) l'eredità. Insomma Nabiullina, guardando meglio alla storia dell'Occidente, potrebbe dare ulteriori indicazioni alla Russia per uscire dalla peggiore crisi in cui si trova questa giovane nazione, che ha appena 30 anni di vita, e di guai ne ha già combinati veramente tanti.