Gente d'Italia

Il caso del missile in Polonia è risolto, il ‘Nord Stream’ no

di Claudio Paudice

Ci sono volute meno di ventiquattro ore ai Paesi dell'Ue e agli Stati Uniti per escludere la responsabilità diretta (quella indiretta è manifesta) della Russia dietro il lancio del missile caduto in Polonia, a pochi chilometri dal confine con l'Ucraina. Non si può dire lo stesso della rete Nord Stream, la prima vera porzione di territorio europeo investito collateralmente dal conflitto militare in Ucraina. Si tratta del duplice gasdotto sottomarino per il trasporto del metano dalla Russia alla Germania attraverso il Mar Baltico, fatto saltare in aria il 26 settembre con qualche centinaio di chili di tritolo che hanno rilasciato in atmosfera circa 400mila tonnellate di gas. Sono passati quasi due mesi e al momento l'atto ormai accertato di sabotaggio non ha colpevoli. Le esplosioni sono avvenute a distanza ravvicinata lungo il Nord Stream 1, a nord est dell'isola danese di Bornholm, e lungo il Nord Stream 2, a sud est della stessa isola. Quattro falle in acque internazionali ma a poca distanza da quelle territoriali della Danimarca, e di Svezia e Germania, e comunque nelle Zone Economiche Esclusive (ZEE) delle prime due. I pochi risultati delle indagini fin qui resi noti mostrano che uno dei tubi del Nord Stream 1 nel Mar Baltico, nell'area di competenza di Stoccolma, sarebbe rimasto distrutto per una lunghezza di 248 metri. Sul fondale marino ci sarebbero infatti "due crateri dai tre ai cinque metri" di profondità , a "248 metri di distanza l'uno dall'altro", e il tubo tra i due punti sarebbe stato distrutto, con detriti sparsi in un raggio di almeno 250 metri.

Sono ben poche le informazioni raccolte dalla società Nord Stream e dai servizi di intelligence occidentali rese pubbliche. Sia le verifiche svedesi che quelle danesi hanno mostrato che le esplosioni sono avvenute in mare poche ore prima della scoperta delle perdite. Ma sulla vicenda è calato il silenzio e le autorità europee hanno deciso di svolgere indagini e rilievi in autonomia, senza forme di cooperazione. Ma i dubbi su chi abbia sabotato intenzionalmente la rete di tubi dell'Ue, sebbene inutilizzata, col passare del tempo non diminuiscono ma aumentano, in un continuo scambio di accuse tra Russia e Occidente senza prove da mostrare all'opinione pubblica. Per Mosca dietro il sabotaggio ci sarebbe la Gran Bretagna, mossa per procura dagli Stati Uniti da sempre avversi al gasdotto, per Londra si tratta di accuse fasulle. Dal punto di vista delle forniture all'Europa le esplosioni non hanno avuto grandi conseguenze: il Nord Stream 2 non è mai entrato in funzione perché bloccato dall'Ue dopo la decisione della Russia di invadere l'Ucraina, mentre il NS 1, che dal 2011 trasportava circa 55 miliardi di metri cubi di metano in Germania, era stato lasciato a secco già a partire da agosto per volere di Mosca come risposta alle sanzioni economiche imposte dall'Occidente. Ma la verità dovrà essere comunque portata a galla perché si tratta di un attacco mirato a una infrastruttura strategica dell'Unione Europea, sebbene destinata a essere inutilizzata.

La Danimarca a ottobre ha fatto sapere di aver concluso i suoi rilievi. Anche la Svezia, ma poi a fine mese ha disposto un supplemento di indagine sulla scena del crimine, per decisione del pubblico ministero svedese incaricato dell'inchiesta sul sabotaggio. Una nota della Procura della Repubblica ha affermato che il titolare delle indagini Mats Ljungqvist, insieme con la Polizia di sicurezza, ha chiesto l'aiuto alle Forze armate. Le nuove indagini devono essere condotte all'interno della zona economica svedese. "Ho deciso, insieme alla Polizia di sicurezza, di svolgere alcune indagini supplementari sulla scena del crimine. A seguito della richiesta, le forze armate hanno deciso di assistere alle indagini preliminari, poiché hanno le risorse e l'esperienza necessarie per poter indagare nel modo in cui vogliamo", ha detto Ljungqvist.   

Stoccolma è stata la prima a sfilarsi dalle indagini congiunte che all'inizio erano state largamente caldeggiate dai Paesi occidentali. A inizio ottobre l'idea era di mettere su un Joint Investigation Team (JIT) ma la Svezia si è chiamata subito fuori affermando che "il livello di riservatezza dei risultati della sua indagine era troppo elevato per condividerli con altri Stati". Una mossa che non ha mancato di suscitare scalpore perché, al di là del fatto che fa parte del blocco occidentale, il Paese scandinavo ha tutta l'intenzione di entrare a far parte della Nato insieme alla Finlandia, operazione al momento rallentata dalla Turchia. Dopo la decisione di Stoccolma, anche Copenaghen ha deciso di rinunciare alla condivisione delle informazioni con la parte tedesca. Ogni Paese interessato in maniera più o meno diretta dall'attacco all'infrastruttura ha quindi deciso di muoversi in totale indipendenza.

La procura federale tedesca ha aperto un'inchiesta bollando gli attentati come un "grave e violento assalto alle forniture energetiche". Berlino ha subito inviato sul posto due navi militari e un drone sottomarino "Sea Cat" per scattare le immagini sul fondale del Baltico. Di pari passo, il Governo federale non ha mai fornito aggiornamenti sul corso delle indagini, respingendo anche le richieste pressanti arrivate dal Bundestag. Un esponente della sinistra ha chiesto di sapere a quali risultati era arrivato il Governo e quali misure avesse già adottato, da solo o in coordinamento con altri Stati Ue e della Nato. La risposta è stata a dir poco evasiva: "Non è stato possibile condurre indagini sul posto", senza fornire però ulteriori dettagli sulle navi della Marina che si sono recate al largo di Bornholm. Inoltre, il governo Scholz ha fatto sapere che "dopo un attento esame, il governo federale è giunto alla conclusione che non possono essere fornite ulteriori informazioni per motivi di pubblico interesse. Le informazioni richieste sono soggette alle restrizioni della Third-Party-Rule", ovvero quella regola nella cooperazione internazionale dei servizi di intelligence che impedisce a un servizio di divulgare a terze parti qualsiasi informazione ricevuta da un partner senza il suo preliminare consenso. In pratica per Berlino rispetto al diritto a essere informato del Parlamento tedesco prevale lo Staatswohl, il "benessere dello Stato", che pone le domande del Bundestag in secondo piano rispetto all'esigenza di segretezza del Governo.

La Russia è stata inizialmente estromessa dalle indagini sul gasdotto, sebbene le abbia chieste più volte. A fine ottobre, la Svezia ha consentito alla società Nord Stream AG, che opera i due omonimi gasdotti, di entrare nelle proprie Zee per esaminare i tratti dell'infrastruttura danneggiati. L'azienda proprietaria della rete di tubi è registrata in Svizzera ma il 51% delle sue azioni sono di proprietà di Gazprom, il gigante del gas russo. A novembre anche la Danimarca ha aperto le sue acque alla nave noleggiata da Nord Stream Ag: "Fino a poco tempo fa l'accesso ai siti danneggiati per un'indagine idrografica non era possibile a causa della zona di esclusione stabilita dall'autorità marittima danese", ha spiegato una nota della azienda. "L'11 novembre 2022 il raggio della zona di esclusione per la navigazione marittima era stato ridotto da 5 miglia nautiche a 500 metri intorno alla zona danneggiata del gasdotto. Allo stesso tempo, l'autorità marittima danese ha concesso a Nord Stream AG un'esenzione che consente, in determinate condizioni, anche meteorologiche, di avvicinarsi all'area dei danni a una distanza sufficiente per eseguire parte dei lavori pertinenti". "Dopo aver ricevuto il permesso di entrare nell'area riservata, la nave noleggiata da Nord Stream AG si è spostata nell'area danneggiata e ha iniziato a rilevare i punti di rottura del gasdotto. La durata dell'indagine dipenderà dai limiti all'accesso all'area dei danni legati alle condizioni meteorologiche", ha aggiunto la società, che ha iniziato lo scorso 27 ottobre le ispezioni nella zona economica esclusiva della Svezia dopo il via libera di Stoccolma. 

Nei giorni precedenti alle esplosioni diversi rapporti hanno segnalato la presenza di diverse navi militari intorno all'area, ma questi movimenti non dimostrano nulla dal momento che gli ordigni - se di ordigni si tratta - potrebbero essere stati messi da navi di tipo civile. Ma lunedì scorso è emerso un nuovo particolare: la presenza di due navi "fantasma" nella zona dell'attacco a poche ore dalle esplosioni. I satelliti avrebbero individuato due grandi navi con i localizzatori spenti in prossimità del Nord Stream 2 pochi giorni prima del 26 settembre. Lo ha rivelato il sito Wired.com, citando un rapporto che la società di monitoraggio satellitare SpaceKnow avrebbe già fornito alla Nato.  Le due navi, lunghe dai 95 ai 130 metri, "avevano i loro localizzatori spenti, dunque non ci sono informazioni circa i loro movimenti, e stavano cercando di nascondere al mondo la loro localizzazione e le loro informazioni generali", ha spiegato Jerry Javornicky, amministratore delegato e co-fondatore di SpaceKnow.

La scoperta è stata fatta grazie agli algoritmi di un sistema di apprendimento automatico, che ha permesso di rilevare gli oggetti presenti nelle immagini raccolte da più sistemi satellitari (inclusi servizi a pagamento e gratuiti) nell'arco di 90 giorni. In questo modo sono state individuate 25 navi che avrebbero attraversato l'area prossima ai siti delle falle del Nord Stream 2: le uniche due navi con il sistema di identificazione automatica (Ais) spento sarebbero transitate pochissimi giorni prima della scoperta delle perdite di metano.  Secondo il diritto internazionale, le navi di grandi dimensioni devono installare e usare l'Ais come strumento per la navigazione e la prevenzione di eventuali collisioni con altre navi (soprattutto in aree molto trafficate come quella del Baltico). Quando è attivato, l'Ais trasmette il nome della nave, la posizione, la direzione di marcia, la velocità e altre informazioni. Le navi che spengono il loro localizzatore oscurandosi sono spesso sospettate di essere coinvolte in attività illecite o in missioni militari, ma non è sempre detto. Talvolta l'Ais può avere problemi tecnici, perdendo le comunicazioni con i satelliti o i ricevitori a terra: il segnale può anche risentire delle condizioni meteo.

Nel silenzio calato sulle indagini proliferano le speculazioni e le accuse reciproche. A inizio novembre il segretario del Consiglio di sicurezza russo Nikolaj Patrushev è tornato ad accusare Londra di essere dietro il sabotaggio citando un tweet dell'imprenditore tedesco-finlandese IT Kim Dotcom: il fatto che il 26 settembre l'allora premier Liz Truss, un minuto dopo l'esplosione al gasdotto Nord Stream abbia scritto al segretario di Stato Usa Antony Blinken un messaggio con il testo "tutto è fatto", conferma il coinvolgimento della Marina britannica nell'attacco al Nord Stream, ha detto Patrushev. È così che "i russi sapevano che la Gran Bretagna aveva fatto saltare in aria i tubi", ha affermato Dotcom che però non ha rivelato la fonte della sua informazione, secondo quanto riportato da Ria Novosti. "Impossibile non prestare attenzione al messaggio Sms che in quel momento il primo ministro britannico Liz Truss, un minuto dopo l'esplosione dei gasdotti, riferisce immediatamente al segretario di Stato americano Anthony Blinken. Secondo Patrushev, gli Stati Uniti sono diventati i principali beneficiari dell'attacco terroristico ai gasdotti e la Marina britannica, secondo il Ministero della Difesa russo, ha preso parte alla pianificazione e all'esecuzione. L'imprenditore tedesco-finlandese Kim Dotcom è il fondatore dei servizi di file hosting Megaupload e Mega. Attualmente risiede in Nuova Zelanda. L'Fbi lo accusa di racket, riciclaggio di denaro e frode. Gli Stati Uniti hanno chiesto alla Nuova Zelanda di estradare Dotcom, che si è opposto in tribunale.

Il 2 novembre Mosca ha annunciato che presenterà all'ambasciatore britannico a Mosca Deborah Bronnert le prove del coinvolgimento della Gran Bretagna nell'attacco alla base della Flotta del Mar Nero a Sebastopoli e nell'atto di sabotaggio contro i gasdotti del Nord Stream. Quindi divulgherà successivamente  il materiale, ha dichiarato la portavoce del ministero degli Esteri russo Maria Zakharova in un briefing informativo. Per l'Ue si tratta di "un'accusa del tutto infondata" la dichiarazione del Cremlino secondo cui vi sarebbe il Regno Unito dietro gli attacchi ai gasdotti nel mar Baltico. "Gli attacchi contro Nord Stream 1 e 2 devono ancora essere indagati", secondo Bruxelles. "Siamo favorevoli a qualsiasi indagine volta a fare piena chiarezza su ciò che è accaduto e sul perché adotteremo ulteriori misure per aumentare la nostra resilienza nella sicurezza energetica. È chiaro, tuttavia, che negli ultimi tempi solo la Russia ha usato l'energia come arma". Per Londra si tratta del "manuale di distrazione della realtà" del Cremlino.

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