di Mariano Giustino
Si canta e si balla in tutti i luoghi pubblici dell'Iran. Si canta nelle metropolitane, sugli autobus, per le strade, nelle piazze. Donne e uomini cantano e ballano insieme anche se è vietato e se si rischia la fustigazione e il carcere, anche se i pasdaran e le forze basij sparano contro di loro nelle metropolitane e sugli autobus. “Azadi, Azadi” (Libertà, Libertà), ripetono i giovani a squarciagola. “La liberazione dell'Iran è vicina”, gridano e, come in un sogno che all’alba non muore, saltellano sventolando un pezzo di stoffa e intonando canti di liberazione. Nelle piazze di Tehran, uomini e donne si tengono per mano e fanno il girotondo: è la “Rivoluzione dell'Amore”, ma in Occidente sono solo in pochi ad accorgersene.I giovani iraniani sono consapevoli che "la vita può essere vissuta in modo diverso" e non vedono altra speranza se non quella del salvifico abbattimento di questo regime orrifico. Con eroico coraggio affrontano le feroci milizie del Corpo delle guardie rivoluzionarie islamiche che sparano a vista sui manifestanti a braccia aperte che gridano: "Non abbiamo paura dei tuoi proiettili, uccidici pure, ma non potrai uccidere la nostra voglia di libertà”. Insomma, la nuova generazione iraniana è molto determinata a liberarsi della teocrazia, come se il proprio paese fosse stato occupato da mostri, da essere alieni venuti dallo spazio che li ha ghermiti e ridotti alla segregazione.
La video blogger di 16 anni, Sarina İsmailzade, uccisa il 23 settembre a manganellate in testa dalle forze basij durante una protesta a Gohardasht, nella provincia di Alborz, aveva riassunto questo atteggiamento in un suo video-clip sul suo canale YouTube, poche ore prima della sua morte: "Non siamo come la generazione di 20 anni fa che non sapeva cosa fosse la vita al di fuori dell'Iran. Ci chiediamo perché non possiamo divertirci come le adolescenti di New York o Los Angeles". Sarina in un altro suo video cantava la canzone del musicista irlandese Hozier, "Take Me to Church", che per le donne, in questa Rivoluzione, è diventato un inno alla libertà e all’amore per i quali si può morire.
Questi giovani combattono per le strade del loro paese, pacificamente, a mani nude, contro un regime armato fino ai denti, pronti a rischiare tutto. I loro slogan più frequenti sono: “Via i mullah!”, “Mullah, andate al diavolo!”, “Vogliamo essere lasciati in pace”, “Via la Repubblica islamica dall’Iran”. I manifestanti non stanno chiedendo all’Occidente un sostegno per abbattere il regime, perché non ne hanno bisogno: ad abbattere la Repubblica islamica stanno pensando loro mettendo in gioco la propria vita, ma chiedono alla comunità internazionale, semplicemente, di non sostenere più un regime criminale che li opprime. Le coraggiose ragazze dell’hijab sono ora diventate l'incubo di Ali Khamenei. A Tehran, nel sessantesimo giorno dall’assassinio di Mahsa Amini, un folto gruppo di manifestanti si è incamminato lungo Via della Repubblica islamica, diretto verso la casa della guida suprema al grido di “Morte al dittatore”.
In questo paese chiave sta accadendo qualcosa di straordinaria portata storica: se la Repubblica islamica dovesse cadere, quella iraniana diventerebbe la prima Rivoluzione riuscita nella storia del Medio Oriente dal 1979 e rappresenterebbe quello che per l’Europa ha rappresentato la Rivoluzione francese; il suo successo cambierebbe il volto dell'intera regione e non solo. Nulla sarebbe più come prima in Iraq, in Siria, in Libano e anche nel più oscurantista Afghanistan. Si spalancherebbero le porte della speranza per la risoluzione della questione israelo-palestinese. E anche Putin perderebbe un prezioso alleato in Siria e Ucraina.
In quest’ultima settimana le manifestazioni sono entrate in una fase decisiva anche perché ai giovani si sono uniti i commercianti dei bazar notoriamente conservatori e sostenitori del regime islamico che furono decisivi nella rivoluzione khomeinista. Si registrano scioperi anche nel settore petrolchimico che se proseguiranno paralizzeranno la macchina economica del sistema. Manifestazioni e marce si registrano in ogni regione del paese. L’età della maggior parte dei manifestanti è al di sotto dei trent’anni e tra questi, un gran numero di adolescenti. La fascia di età tra i trenta e i quarant’anni non si è ancora completamente mobilitata, ma se ciò dovesse accadere in una megalopoli come Tehran, ad esempio, avremmo in piazza milioni di persone e il regime sarebbe destinato al definitivo crollo.
Da Shiraz a Naziabad, da Tehran, a Isfahan a Mashhad e Kerman, dal Kurdistan iraniano con Sanandaj e Mahabad, dalla regione dell’Azerbaigian occidentale al Sīstān-Balūcistān, negozianti si sono rifiutati di aprire i loro esercizi commerciali e sono scesi in strada. È lo sciopero nazionale più vasto nell'era della Repubblica islamica. Ora è come se le l'Iran fosse fuori dal controllo del regime e le donne e gli uomini fossero padroni delle strade e delle piazze dove far sentire il grido di libertà.
Il sessantesimo giorno di rivoluzione è diventato un mercoledì di sangue per Īzeh, nella provincia del Khūzestān, a sudovest dell’Iran. La città si è coperta di sangue: oltre 850 feriti e numerosi morti. Medici e infermieri sono mobilitati a tempo pieno per soccorrere e curare i feriti. A Īzeh il regime islamico sembra aver portato l'inferno sulla terra. Burhan Kerami è una delle decine di vittime di mercoledì nella città di Kamiyaran, freddato per strada durante l'insurrezione popolare, colpito al volto dal fuoco diretto delle milizie di Khamenei. Kian Pirfalak, era un bambino di 10 anni, colpito nell'inferno di Īzeh dal fuoco delle fucilate del Corpo delle guardie rivoluzionarie. Sembra prossima la completa liberazione anche della città di Kamiyaran, nella regione del Kurdistan iraniano dopo quella di Bukan con i mullah in fuga, nell’Azerbaigian occidentale. Kamiyaran potrebbe essere la seconda città iraniana ad essere liberata dai religiosi sciiti. Anche le ragazze e i ragazzi dell'Università di Medicina di Sanandaj, sempre nel Kurdistan iraniano, hanno esultato e cantato "Azadi, Azadi". Vogliono vivere nell'unico Iran dove è possibile crescere e avere un futuro. Dove si può amare la vita.
La rivoluzione, dicono, allontana la paura e allevia il dolore.
Questo coraggio del popolo sta annichilendo un regime che da due mesi massacra i propri figli. Le autorità iraniane sono disperate e giocano la carta del terrorismo, sparano contro i manifestanti nelle strade e anche nelle metropolitane e sugli autobus. La tenacia dei giovani disarmati sorprende il Corpo delle guardie rivoluzione e le forze paramilitari basij che erano abituate a disperdere la folla a colpi d’arma da fuoco, ma questa volta si trovano davanti giovani a mani nude che li sfidano e non hanno paura e questo genera in loro stupore e sconcerto. Si trovano davanti a qualcosa di assolutamente nuovo e questo sta creando una crepa all’interno delle forze del regime. Sono diversi i casi che ci vengono segnalati di insubordinazioni, di fughe di membri del Corpo delle guardie rivoluzionarie e delle basij, tanto che il regime è costretto a reclutare forze straniere come le brigate Fatemiyoun afgane e le brigate irachene filoiraniane. Ma anche queste stanno incontrando molte difficoltà perché non conoscono l’Iran, non conoscono il territorio iraniano.
Il regime si troverebbe a suo agio se avesse dinanzi una rivolta violenta, anziché giovani disarmati. Per questo la strategia delle autorità iraniane è quella di usare la forza più feroce per trascinare nelle proteste gruppi di opposizione e partiti curdi con le loro ale armate e scatenare la reazione violenta nella popolazione, compresa quella della vasta minoranza curda. Questa strategia mira a far perdere il vasto consenso e le simpatie che vi sono nel paese verso i giovani manifestanti e a dividere l’opinione pubblica movendo anche la leva del nazionalismo, accusando i curdi di voler creare un "Kurdistan iraniano indipendente", un luogo comune, questo, che viene tirato fuori ogni volta che il regime si sente vulnerabile. Ma ciò non sta riuscendo perché anche i partiti curdi si astengono da ogni violenza.
Nelle manifestazioni e nelle rivolte precedenti, come quelle del 2009, il regime agitava il pericolo del separatismo, del ritorno della monarchia, della minaccia dei mujaidin. La Repubblica islamica riusciva a spaventare in questo modo la popolazione e a mandare tutti a casa. Questa volta i giovani non ascoltano più quei messaggi, non hanno più alcuna paura, sono tutti votati al cambiamento e disposti ad affrontare anche le incertezze del futuro. La popolazione ha capito che deve rimanere per le strade e non commettere l’errore storico del 1979 quando lasciarono le piazze ai sostenitori di Khomeini che allora erano una minoranza, ma ben organizzata e purtroppo sostenuta con cecità dall’esterno. Il regime sta già cercando di far mediare ai riformisti come l’ex presidente Mohammad Khatami, al quale, per la prima volta dopo 10 anni, hanno concesso di rilasciare un’intervista. Gli hanno dato visibilità nel tentativo di calmare un po’ le acque tempestose della rivolta. Il regime pensa di lasciare piccoli spazi di libertà per sedare le rivolte e si nota già un allentamento dei controlli sul velo, ma i manifestanti vogliono aprire una pagina nuova. Vogliono una Repubblica laica, democratica fondata sullo stato di diritto e sul rispetto dei diritti umani fondamentali