di Antonio Cianciullo
La Cop africana si conclude con due vincitori. I Paesi più deboli hanno conquistato la menzione di un fondo di compensazione dei danni climatici. I combustibili fossili, lo schieramento che con oltre 600 rappresentanti accreditati era di gran lunga maggioritario a Sharm el Sheikh, hanno conquistato un altro anno di profitti indiscussi: petrolio e gas sono pieni responsabili della crisi climatica e ancora una volta grandi assenti nel testo finale. Se ne parlerà alla prossima conferenza per il clima, già organizzata negli Emirati Arabi nel 2023. Era il risultato a cui tendeva la presidenza egiziana ed è stato raggiunto.
La ventisettesima conferenza sul clima si è conclusa domenica all'alba, con due giorni di ritardo sulla tabella di marcia e la rituale approvazione all'unanimità del documento finale. Dal punto di vista della difesa climatica, senza la quale l'economia collasserebbe e quindi non ci sarebbe più nessuno in grado di compensare i danni, si è appena riusciti a evitare la rotta.
Il documento finale approvato a Sharm el-Sheikh salva l'obiettivo di mantenere il riscaldamento globale entro un aumento di 1,5 gradi rispetto ai livelli pre industriali, ma non fa nemmeno un piccolo passo avanti. Alla Cop26 di Glasgow la voce del compassato Alok Sharma, ex segretario di Stato della Gran Bretagna e presidente della conferenza, si era spezzata in una nota di pianto quando aveva dovuto leggere il testo finale in cui, per il blitz di un piccolo gruppo di Paesi guidato da India e Cina, si passava dalla richiesta di phase out per i sussidi ai fossili al phase down, dalla cancellazione al rallentamento. Rilanciando la palla alla Cop27.
Ora che alla Cop27 siamo arrivati, dopo un anno che si chiude con le emissioni serra aumentate dell'1% e con una conta angosciosa dei disastri climatici accumulati, è stato votato un documento finale in cui non c'è traccia della riduzione o dell'eliminazione dell'uso dei combustibili fossili sollecitata da vari Paesi. Si chiede soltanto la diminuzione dell'uso del carbone senza abbattimento delle emissioni e si sottolinea l'importanza della transizione alle fonti rinnovabili.
Il segretario dell'Onu Antonio Guterres ne ha preso atto: "Dobbiamo ridurre drasticamente le emissioni ora, e questo è un tema che questa Cop non ha affrontato. Un fondo per i loss and damage è essenziale, ma non è una risposta alla crisi climatica che spazza via una piccola isola dalla mappa, o trasforma un intero Paese africano in un deserto".
Anche il vicepresidente dell'Unione europea Frans Timmermans ha messo a fuoco l'incongruenza logica delle conclusioni della conferenza di Sharm el Sheikh: non si può concentrare l'attenzione sui danni senza fare la mossa essenziale, cercare di diminuirli. "Vi chiedo di riconoscere che tutti abbiamo mancato nell'azione per minimizzare le perdite e i danni", ha detto Timmermans. "Avremmo dovuto fare molto di più, e questo vuol dire ridurre le emissioni molto più rapidamente. Questa settimana abbiamo sentito 80 Paesi chiedere di inserire nel testo il picco delle emissioni al 2025 e una chiara intenzione di eliminare i combustibili fossili. Tristemente, non li vediamo riflessi in questo documento. Alcuni hanno messo barriere non necessarie sulla strada della difesa climatica. Ma noi non smetteremo di lottare per fare di più".
Il fronte dei Paesi più colpiti dalla crisi climatica, quelli meno industrializzati e quindi meno responsabili del riscaldamento globale, registrano invece un successo politico significativo: un fondo per il loss and damage, cioè per compensare i danni prodotti da uragani, alluvioni, siccità. "Non è carità, ma un investimento nel futuro e nella giustizia climatica. Continueremo a sostenere il processo. Questo è il decennio decisivo per noi", ha commentato la ministra del clima del Pakistan, Sherry Rehman, parlando a nome di tutto il gruppo G77+Cina.
Già. Ma proprio la Cina rappresenta un elemento di contraddizione in una visione rigida che divide il mondo in vittime e colpevoli. Il territorio della Cina rischia molto per l'avanzata del deserto e per il collasso dei ghiacciai dell'Himalaya che alimentano buona parte del suo sistema idrico. E dunque è vittima. Ma quanto colpevole? Se si fotografa l'immediato è l'inquinatore numero uno. Facendo una proiezione storica la sua responsabilità diminuisce ma resta nel gruppo di testa degli inquinatori. Dunque la Cina va considerata, assieme al Kuwait e al Qatar come Paese in via di sviluppo che deve ricevere le compensazioni, o invece ha la capacità finanziaria per rientrare tra i donatori del fondo loss and damage?
In realtà il vero salto di questa Cop, il riconoscimento di un'applicazione del principio "chi inquina paga", ha bisogno, per tradursi in atti concreti, di poggiare sulle gambe solide di una transizione ecologica rapida, efficace nel rallentare la crisi climatica, capace di creare occupazione e dunque risorse da reinvestire. Ma da questo punto di vista i successi sbandierati a Sharm el Sheikh sono operazioni di "riciclo" di risultati (parziali) già raggiunti in precedenza. Ad esempio è vero che abbattere le emissioni di metano è uno dei sistemi più rapidi per allentare il cappio climatico. Ma all'alleanza globale per ridurre le emissioni di metano di almeno il 30% entro il 2030 rispetto ai livelli del 2020 – che già esisteva - mancano ancora Paesi come Cina, India e Russia.
La Cop27 ha come unico punto al suo attivo l'accordo su un principio di giustizia climatica a livello planetario. Il loss and damage ha messo a fuoco la crisi climatica non come un problema "per le prossime generazioni" ma per chi ogni giorno deve fare i conti alluvioni, siccità, trombe d'aria. L'accordo è passato, ma le domande principali sul come renderlo operativo restano ancora senza risposta.