di Silvana Mangione
Per raccontarlo, dobbiamo iniziare facendo riferimento alla legge n. 198 del 18 giugno 1998 che, all'Art. 1, comma 2, ne definisce i compiti come segue: "Il CGIE in aderenza ai principi affermati negli articoli 3 e 35 della Costituzione, ha il fine di promuovere e agevolare lo sviluppo delle condizioni di vita delle comunità italiane all'estero e dei loro singoli componenti, di rafforzare il collegamento di tali comunità con la vita politica, culturale, economica e sociale dell'Italia, di assicurare la più efficace tutela dei diritti degli italiani all'estero e di facilitarne il mantenimento dell'identità culturale e linguistica, l'integrazione nelle società di accoglimento e la partecipazione alla vita delle comunità locali, nonché di facilitare il coinvolgimento delle comunità italiane residenti nei Paesi in via di sviluppo nelle attività di cooperazione allo sviluppo e di collaborazione nello svolgimento delle iniziative commerciali aventi come partner principale l'ICE, le Camere di Commercio e le altre forme associative dell'imprenditoria italiana". Tanto per richiamarli alla memoria, trascriviamo i testi degli articoli 3 e 35 della nostra bellissima Costituzione. L'Articolo 3 recita: "Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzioni di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali". Vale a dire che i cittadini italiani all'estero non possono essere discriminati per la semplice ragione di non risiedere in Italia, ma hanno diritto a essere trattati nello stesso modo in cui il Governo, il Parlamento e le Regioni trattano coloro che vivono dentro i confini dello Stivale. E questo, come sappiamo, non è sempre vero. Ultimamente, addirittura, non è quasi mai vero. L'Articolo 35, a sua volta, sancisce: "La Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme e applicazioni. Cura la formazione e l'elevazione professionale dei lavoratori. Promuove e favorisce gli accordi e le organizzazioni internazionali intesi ad affermare e regolare i diritti del lavoro. Riconosce la libertà di emigrazione, salvo gli obblighi stabiliti dalla legge nell'interesse generale e tutela il lavoro italiano all'estero". Anche queste norme non sono totalmente rispettate. Sì, ripetiamolo una volta per sempre, siamo tutti liberi di emigrare, anche se molti non vorrebbero essere costretti a lasciare l'Italia. Infatti, al contrario di quanto pontificano i soloni da salotto, la maggior parte degli espatriati dall'inizio del XXI secolo non è costituita da plurilaureati che vogliono andare a fare ricerca o carriera in Paesi stranieri, come viene strombazzato su tutti i giornali e nei talk show in cui un accrocco di onniscienti racconta la verità seguendo la moda del momento. La massiccia ripetizione recente dell'esodo migratorio dal Bel Paese ha come ragione principale l'impossibilità di trovare un lavoro, anche per mancanza di formazione, e l'esiguità di troppe pensioni, dati gli altissimi costi di vita e di tassazione in Italia. Per molti anni, e ancora all'inizio di questo secolo, il Ministero del Lavoro finanziava corsi di formazione per gli emigrati a qualunque livello di scolarizzazione fossero, per soddisfare le richieste che provenivano dai diversi Paesi. Gente d'Italia ne tenne uno ottimo a Montevideo per la formazione di giornalisti specializzati nel coprire le realtà italiane all'estero. Ma questo non si verifica più da almeno dieci anni. C'è di peggio. Nei momenti di grave crisi economica, i lavoratori italiani in altri Paesi sono i primi a essere licenziati, anche all'interno dell'Unione Europea. Ci rendiamo conto che ancora oggi esiste la categoria dei frontalieri, che di giorno lavorano in una nazione confinante e di sera valicano la frontiera in senso inverso per andare a dormire in Italia? Se ne è parlato, soltanto per un attimo, come effetto collaterale, quando la Francia ha sbarrato i confini agli immigranti sbarcati in Italia dai gommoni e dalle barchette che non sono affondate nel Mediterraneo. Ma non se ne parla quasi più, perché le brutte notizie e l'ammissione del mancato rispetto delle leggi vanno spazzate sotto il proverbiale tappeto per nasconderle alla vista di tutti. Ciò detto, torniamo al CGIE che, dalla sua istituzione nel lontano 1989 e insediamento nel 1991, ha sempre combattuto contro queste lacune nella protezione dei diritti e queste mistificazioni della narrativa pubblica sul mondo, ormai considerato tutto d'oro, dei cittadini fuori d'Italia. Il CGIE, per legge, ha quattro facoltà/funzioni: conoscitiva, consultiva, propositiva e programmatoria. Chiariamole. La funzione conoscitiva, descritta nell'Articolo 2, comma 1 a, c, c-bis., consiste nell'esaminare i problemi delle comunità all'estero; promuovere studi e ricerche collaborando alla relativa organizzazione ed elaborazione; verificare e promuovere processi di integrazione nelle strutture sociali ed economico-produttive del paese ospitante e di valorizzazione dell'identità nazionale degli italiani all'estero. La funzione consultiva, prevista all'Articolo 2, comma 1 b, sta nel formulare, su richiesta del Governo o dei presidenti di Camera e Senato, pareri in materia di iniziative legislative, amministrative ed elettorali dello Stato o delle Regioni, accordi internazionali e normative comunitarie concernenti le comunità italiane all'estero. La facoltà propositiva, ai sensi dell'Articolo. 2, comma 1b, dà al CGIE il potere di formulare, di propria iniziativa, proposte e raccomandazioni in materia di iniziative legislative, amministrative ed elettorali dello Stato o delle Regioni, accordi internazionali e normative comunitarie concernenti le comunità italiane all'estero; contribuire all'elaborazione della legislazione economica e sociale che ha riflessi sul mondo dell'emigrazione. Infine, la funzione programmatoria si esplica in due modi. Secondo l'Articolo 2, comma 1d, si traduce nell'elaborare "una relazione annuale con proiezione triennale da presentare, tramite il Governo, al Parlamento, in cui si valutino gli eventi dell'anno precedente e si traccino indirizzi e prospettive per il triennio successivo". Ma ancora più importante è l'Articolo 17 bis, che istituisce la Conferenza permanente [e paritaria] tra lo Stato, le Regioni, le province autonome e il CGIE, un organismo che ha il compito di indicare le linee programmatiche per la realizzazione delle politiche del Governo, del Parlamento e delle Regioni per le comunità italiane all'estero. Ne parleremo nel prossimo articolo.