DI GIORGIO MERLO
Dunque, siamo alla vigilia dell'ennesimo congresso rifondativo del Partito democratico e la discussione, come da copione, si concentra anche, ma non solo, sull'organizzazione interna di questo partito, ovvero il ruolo e la funzione delle correnti. Tutti sanno che si tratta di una organizzazione rigorosa, blindata e funzionale alla distribuzione del potere interno al partito e nelle istituzioni. Cioè, detto in termini più chiari ed espliciti, della spartizione delle candidature. Il tutto, come ovvio, attraverso un sistema elettorale che prevede appunto la "nomina" e non "l'elezione" dei deputati e dei senatori. Nulla a che vedere, quindi, con le correnti vissute ed interpretate come strumenti di elaborazione politica e culturale e come legittima rappresentanza di interessi sociali e territoriali. Si tratta, cioè, di gruppi interni che si raccolgono attorno ad un capo corrente e che, di fatto, bloccano ogni dibattito e ingessano la stessa organizzazione del partito. È persin inutile ricordare che, in un partito siffatto, il legittimo e fisiologico confronto politico interno che caratterizza ogni partito democratico è sospeso perchè ogni decisione è riconducibile all'accordo preventivo, secco e blindato, tra i molteplici capi corrente con tanti saluti a tutto ciò che si racconta in pubblico. Insomma, null'altro di quello che alcuni membri del partito hanno detto durante l'ultima Assemblea Nazionale di quel partito. Anche se questi esponenti sono stati eletti, a loro volta, grazie alla designazione centralistica dei rispettivi capi corrente.
Comunque sia, si tratta di un meccanismo ormai strutturale all'interno del Pd e ogni pronunciamento pubblico che sottolinea l'impegno a superare questo meccanismo è un puro e semplice esercizio di ipocrisia perchè ognuno parla a titolo esclusivo della propria corrente o della propria banda. È un partito, quindi, irriformabile perchè l'intera organizzazione, a livello locale come a livello nazionale, ruota attorno a queste inamovibili correnti e al loro potere nel partito.
Ora, quando si parla su vari organi di informazione e nei vari talk televisivi di questi temi - peraltro noti a tutti - continua uno strano confronto e un singolare parallelismo con la vecchia ed antica organizzazione della Democrazia Cristiana. Un partito che era, anch'esso, articolato sulle correnti e su un profondo e riconosciuto pluralismo culturale interno. Ma con una profonda ed irriducibile diversità che molti osservatori e commentatori fingono di non sapere o di dimenticare. Ossia, le correnti della Democrazia Cristiana erano strumenti e luoghi concreti di continua elaborazione culturale e politica, oppure interpreti di precisi interessi sociali o espressione di aree territoriali. Si trattava, cioè, di luoghi politici per eccellenza. Certo, anche in quel partito esistevano deviazioni ed eccezioni, a livello locale come a livello nazionale, ma il tutto non si poteva ridurre sempre e solo a bande interne o ad aggregazioni estemporanee legate esclusivamente alla distribuzione del potere nel partito e nelle istituzioni.
Se dovessimo ricordare, tanto per fare un solo esempio, le correnti della sinistra democristiana - penso a quella della "sinistra sociale" di Carlo Donat-Cattin o alla "sinistra politica" di Ciriaco De Mita, Giovanni Galloni e Mino Martinazzoli - dovremmo arrivare alla conclusione che, quasi quasi, erano organizzazioni di partito all'interno del partito di riferimento, cioè la Dc. Si trattava, infatti, di correnti che organizzavano convegni a livello nazionale, che avevano riviste politiche e culturali, che apprestavano corsi di formazione dei quadri dirigenti con dibattiti settimanali nelle varie realtà periferiche e, soprattutto, con una politica che non si poteva ridurre solo a rapporti di forza. La corrente sociale di Donat-Cattin non ha mai raggiunto il 10% dei consensi interni al partito nella sua lunga storia ma la sua presenza nella Dc, come ha ricordato più volte lo stesso Aldo Moro, era fondamentale per garantire e consolidare quel ruolo popolare e sociale di un grande partito interclassista com'era la Democrazia Cristiana. Le correnti della Dc, quindi, contavano in quanto rappresentavano pezzi di società con ricette politiche e analisi culturali che riflettevano la complessità e l'articolazione pluralistica del nostro paese.
Ecco perchè quando si fanno confronti tra l'organizzazione tradizionale della Dc e l'attuale assetto del Pd si compie un atto blasfemo nonchè singolare ed anacronistico. La Dc, anche grazie alle sue correnti, ha governato il nostro paese per quasi 50 anni - perchè, come dice giustamente Guido Bodrato, "la storia della Dc è la storia delle sue correnti" - mentre il Pd, con le sue molteplici correnti e le sue bande interne, rischia di deflagrare definitivamente in quanto si tratta solo di semplici luoghi per garantire il potere e l'elezione della nomenklatura con i rispettivi cortigiani e cerchi magici. Una differenza che, almeno per onestà intellettuale e rispetto della storia viva dei partiti politici, sarebbe bene ricordare ogni qualvolta si parla del rapporto tra le correnti nei rispettivi partiti.