di Bruno Tucci
Il merito e gli studenti. Migliaia di studenti sono scesi in piazza nei giorni scorsi con striscioni e slogan per protestare "contro la scuola di merito voluta dal governo di Giorgia Meloni". Hanno sfilato in molte città per far sentire forte la loro voce. "Le norme di questa legge danno il solito vantaggio ai ricchi a discapito dei poveri". Non hanno dubbi al proposito questi giovanotti che dicono non appartenere a nessuna parte politica. Né di destra, né sinistra. "E nemmeno di centro", aggiunge qualcuno. Dunque sono contrari alle decisioni dell'esecutivo ed al ministro che sovrintende questa materia.
Vediamo di farci aiutare dal vocabolario della lingua italiana che al sostantivo "merito" spiega: questa è una parola che ci hanno lasciato i nostri padri latini. Meritum, cioè meritevole, essere cioè degno di lode. Non c'è quindi una distinzione netta di origine classista, ma al contrario dà a chi studia una pari opportunità.
Da Palazzo Chigi affermano: "Uguaglianza e merito non sono avversari uno dell'altro, sono invece fratelli. Le borse di studio che programmeremo durante l'anno dimostrano che quanto abbiamo detto è la pura e sacrosanta verità"
Gli studenti non si fidano, per quanto conservatorismo nasconde la "sovranista Meloni". Insomma per tutti coloro che hanno manifestato nelle piazze di mezza Italia il pericolo è politico, vista l'ideologia che si respira all'interno di questo governo.
"La scuola che ci propongono i nuovi ospiti del Palazzo è esattamente il contrario di quella che vogliamo noi". Siamo alle solite: se non è divisiva (brutto neologismo) l'Italia non è contenta. In qualsiasi campo e per qualsiasi problema. "Merito", dunque non è un sostantivo che aggrada ai nostri giovani. Sa di vecchio, di un ritorno al passato, di un tuffo all'indietro di parecchi anni.
Le generazioni cambiano, gli studenti di una volta (diciamo 40 o 50 anni fa) non sono uguali a quelli di oggi. Non si somigliano nemmeno un po'. Questo è comprensivo, sarebbe assai assurdo il contrario. Però sui risultati scolastici (medie o superiori) la verità è una ed una sola. Un dieci in latino o in matematica vale molto di più di un quattro.
Vuol dire che chi si presenta dinanzi al professore dimostra una preparazione diversa. Quindi come la vogliamo definire? Si è stati fortunati nelle domande, il docente ha un concetto diverso dal vostro? Questo può accadere, ma capita una, due volte, non dieci. Per dirla in breve, a qualcuno lo studio piace e si applica; per qualcun altro il ritornello è diverso.
Si è parlato di generazioni che cambiano, di situazioni diametralmente opposte. Però il merito è sempre uno e uno soltanto. Viviamo di ricordi noi che abbiamo oggi i capelli bianchi. Disciplina e educazione: due principi basilari che si univano alla preparazione. Non si creda che il volume degli studi fosse diverso, che bastava imparare quattro o cinque nozioni e tutto andava per il verso giusto.
Possiamo citare, come esempio, quello che si pretendeva alla licenza liceale degli anni cinquanta. A parte gli scritti in italiano, latino e greco (matematica per lo scientifico), gli esaminatori potevano chiederti ( e lo facevano) anche argomenti che non si riferivano all'ultimo anno di liceo, ma anche al primo o al secondo. Una maturità che lasciava insonni parecchi giovani.
Poi, venne il sei politico. Se qualcuno dei giovani che protesta nelle piazze non lo conosce si vada a leggere che cosa succedeva in quelle scuole molto politicizzate. Appunto: si pretendeva la sufficienza e il docente spesso doveva ingoiare il rospo.
Non crediamo e ci auguriamo che si voglia tornare a quel periodo. Se davvero si vuole che i ragazzi di oggi diventino i dirigenti del domani diamo alla parola tanto vituperata il rispetto che si merita.