Gente d'Italia

La silenziosa strage ligure nelle autostrade trappola

 

 

 

PORTOFRANCO

DI FRANCO MANZITTI

 

 

 

Gli incidenti sono stati 7600 e i morti 64, centinaia i feriti e i ricoveri in ospedale, di più del tragico bilancio del crollo del ponte Morandi nell'ormai lontano agosto 2018, quando le vittime furono 43. 

In un anno solo, il 2021, il rendiconto di quello che è successo sulle autostrade liguri ha cifre tragiche. Questo è anche il prezzo che la Liguria paga ormai ininterrottamente alla forzata cantierizzazione della sua rete autostradale che il ponte Morandi ha smascherato, imponendo lavori continui, invasivi, permanenti su tutte le direttrici che collegano una regione lunga e stretta, frequentata dal turismo e soprattutto da un traffico portuale in crescita e spesso anche civile, perché le autostrade svolgono spesso la funzione di tangenziali urbane.

Arrivare e spostarsi oggi in Liguria significa affrontare una doppia sfida: la prima è proprio quella della propria sicurezza, l’altra è quella dei tempi di percorrenza.

La sicurezza non è più garantita. I lavori riducono le corsie, obbligano a spostamenti continui tra una carreggiata e l’altra, incanalando il traffico su due corsie, una per senso di marcia. Si guida pericolosamente, sfiorando i veicoli che sfilano in senso opposto, minacciati da migliaia di Tir che fanno la fila avanti e indietro e che ti pedinano, o precedono, con la loro mole e ti “fronteggiano” dall’altra parte della strada in un moto perpetuo che di notte diventa come una specie di agghiacciante videogioco dove devi distinguere le luci di chi ti precede da quelle di chi ti viene di fronte, magari abbagliandoti.

 Le corsie sono separata da birilli di plastica che spesso sono spazzati via. Le code diventano un incubo perché spesso passi ore imprigionato da questo serpente che ti avvolge da ogni lato. Fino a che la coda riparte con il rischio di tamponamenti. 

Non ci sono in molti tratti corsie di emergenze, per cui l’autista prigioniero non ha vie di fuga da alcun lato. 

Se scatta una qualsiasi emergenza la soluzione è fermarsi bloccando ancora di più il traffico e chiedere aiuto. Ogni tanto in questo corpo lungo di acciaio immobile da Ventimiglia a Spezia si crea come una scossa: succede quando un’ambulanza deve a tutti i costi passare, “penetrando” il traffico. 

E allora i veicoli da una parte e dall’altra dell’autostrada si addossano al guard rail o ai muri della gallerie (in Liguria ce ne sono centinaia, tutte con lavori in corso, molte chiuse) per creare lo spazio di emergenza. 

E’ una scena da incubo con le sirene spiegate e la luce blù che martella le colonne ferme. Se poi capita un incidente grave allora la situazione precipita.

Come soccorrere, portare via i feriti e i mezzi coinvolti da una trappola simile? Quante vite si sono perse per questa situazione?

Sono domande che si fermano nel muro di acciaio e vetro che oramai blocca dalla mattina alla notte i percorsi liguri con incertezze totali e senso del pericolo incombente, diventato oramai una costante del viaggio.

L’altra “crisi” è quella dei tempi di percorrenza che oramai sono diventati imprevedibili e illimitati. Così per viaggiare da Genova a Savona il tempo può essere il doppio o il triplo di quanto era prevedibile prima dei cantieri. 

Per attraversare tutta la Liguria in situazione critica può succedere di impiegare cinque, sei ore, quanto un tempo era necessario quando le autostrade non erano ancora state costruite. 

Nessuno può mai prevedere quanto ci impiegherà quando entra nel casello. Una sorta di cupa rassegnazione ormai colpisce non solo i liguri in viaggio, ma anche chiunque sa che entrando in Liguria non saprà mai quanto gli costerà viaggiare. 

L’unica certezza è il prezzo del biglietto che nessuno di questi catastrofici incidenti cancella o ha mai cancellato. Autostrade che fornisce quel tipo di servizio, se lo fa pagare come se fosse ineccepibile.

Chi paga per tutto questo in una Regione che vive di trasporti, comunicazione, traffico alimentando i porti, il turismo, le attività di servizio?

Per ora pagano solo le vittime, il cui numero sale inesorabilmente, come in una strage annunciata. Non ci sono alternative o soluzioni che rimedino.

 C'è, invece, qualche processo, come quello che si celebrerà tra pochi giorni per la tragica morte di Paolo Scerni, il quarantenne figlio di una vera dinastia genovese, di agenti marittimi che andò a schiantarsi sulla A26, tra Ovada e Masone, contro un Tir bulgaro che era uscito da un'area di servizio dalla parte sbagliata con un contro mano e aveva occupato completamente le corsie mentre stava facendo una manovra a U. 

Lo sventurato automobilista si era trovato di fronte un muro e non aveva fatto in tempo a frenare. Il bulgaro non era stato neppure fermato, sottoposto a sequestro del mezzo e la patente non gli era stata ritirata. 

Un caso scandaloso, accentuato dal fatto che l'assicurazione poi aveva proposto alla nota famiglia della vittima un risarcimento di 87 mila euro per chiudere l'incidente. Quella vita preziosa valeva quella cifra....

 Il processo potrebbe concludersi con una pena detentiva leggera grazie al patteggiamento e al fatto che la Procura aveva considerato il reato commesso colposo e non doloso.

La vicenda ha destato un grande scalpore non certo solo per la notorietà della famiglia, che cerca sicuramente giustizia e non soldi di risarcimento. 

La decisione in questa udienza preliminare davanti al Gup avrà anche un senso nel quadro di tutta la questione sicurezza sulle autostrade liguri. Quell'autista bulgaro commise la clamorosa infrazione dopo che per nove ore era rimasto in coda sulle autostrade liguri: non era riuscito a trovare un'area dove posteggiare e, quindi, aveva cercato di proseguire il viaggio uscendo contro mano. 

Giustizia e sicurezza si incrociano, quindi, strettamente in questo caso che è un po' lo specchio di quanto sta avvenendo non in un paese sperduto, ma in Italia, in Europa, in una regione di grande attrazione che non offre né l'una, né l'altra.     

 

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