di Andrea Marcigliano
Gli altri parlano… rilasciano dichiarazioni… minacciano… litigano come ragazzini al gioco delle cucuzze (i diversamente giovani se lo ricorderanno). La scena internazionale è tutta un confuso bla bla bla. Il G20 sembrava un’osteria di paese: chiunque entra, dice la sua. Giocando a chi la spara più grossa. “I missili caduti sulla Polonia? Sono ucraini ma la colpa è, comunque, di Putin”. “Mosca deve rinunciare a Donbass, Crimea, Odessa… Putin deve lasciare il potere, così Lavrov e tutto il suo staff. Solo allora si tratterà la pace” (e sti c**** commenterebbe uno dei miei vecchi allievi coatti). “La crisi di Taiwan? Pechino deve rinunciare a ogni pretesa”. “Nel Golfo Persico siamo ormai sull’orlo della guerra. Ma il regime degli ayatollah deve cadere. E a Teheran va instaurata una democrazia in stile occidentale”. Per non parlare, poi, della crisi energetica. Ho sentito ragionamenti e proposte più concrete al mercato dell’ortofrutta.
Comunque, i leader del G20 parlano, parlano. Lui, invece, fa. Mi riferisco a Recep Tayyip Erdogan. Che non a caso, lo scorso luglio, Riccardo Migliori, presidente emerito dell’Osce (l’unico nella storia confermato per ben due volte) nel corso del workshop de “Il Nodo di Gordio” ha definito “Il Signore degli angoli vuoti”. I nostri media, grandi o presunti, per lo più lo ignorano. O lo trattano con una sorta di sufficienza. Eppure, in questi tempi il leader turco ha dimostrato non solo un notevole attivismo ma anche, e soprattutto, una ancora più spiccata astuzia politica. Che, come qualcuno forse ricorderà, è una delle due virtù essenziali del Principe, secondo Machiavelli. Feroce come un leone, astuto come una volpe.
Di saper essere all’occorrenza leone, Erdogan lo ha dimostrato più volte. Con i curdi in Siria, con la congiura dei gulenisti che cercò di rovesciarlo e ucciderlo con tutta la famiglia. Duro, spietato. Ma mai in modo cieco. La ferocia è necessaria. Non una sua indole. E anche questo è Machiavelli. Ora, però, si sta rivelando anche volpe. Soprattutto volpe. Perché nelle attuali contingenze ha dimostrato di sapersi nuove con abilità e destrezza, facendo di Ankara un punto di riferimento per tutta l’intricata rete diplomatica che si aggroviglia intorno al conflitto tra Mosca e Kiev. E la sua azione di mediatore per i corridoi umanitari, che permettano al grano ucraino di giungere nel Mediterraneo e soprattutto nel Nord Africa, è ben nota e riconosciuta. Meno risaputo, però, è il fatto che Erdogan stia facendo valere questo per estendere l’influenza turca in tutto il Maghreb. E, sempre più, anche nel Corno d’Africa.
Angoli vuoti, lasciati così da una Amministrazione statunitense totalmente presa dal conflitto, sotto falsa bandiera, con il Cremlino. E l’altro angolo vuoto è l’annoso conflitto siriano. Dove il Sultano ha approfittato delle difficoltà di Francia e Gran Bretagna per aprire un inaspettato dialogo con il suo vecchio nemico Assad, che potrebbe portare a una ricomposizione del quadro. A scapito, naturalmente, dei comuni nemici, i curdi, che Erdogan ritiene essere la longa manus di Washington. Tanto che il suo ministro degli Interni, in occasione del recente attentato, non ha usato mezze misure nell’accusare l’amministrazione Biden di essere, in un certo qual modo, il mandante.
È difficile prevedere dove questa strategia porterà la Turchia. Potrebbe delinearsi una rottura con la Nato. O, in modo più morbido, un altro ingresso nell’area dei Brics. Certo è che Erdogan è davvero il Signore o, se preferite, il Sultano degli Angoli Vuoti. Un ruolo che avrebbe potuto essere dell’Italia. E che fu tentato da Enrico Mattei e, poi, da Bettino Craxi. Da troppo tempo, però, a Roma non si pensa a occupare angoli vuoti. Purtroppo il vuoto, qui da noi, non manca. Quello delle idee e di una politica di respiro internazionale.