Alfonso Ruffo
 
Per celebrare i suoi primi dieci anni di attività la Fondazione Matching Energies ha organizzato un incontro con alcuni dei tanti amici che nel tempo hanno partecipato alle sue iniziative. È stata l'occasione per riavvolgere il nastro di un periodo intenso e per molti versi turbolento e proiettarsi nel futuro per quanto possibile considerata la scarsa visibilità dei tempi che ci aspettano.
Poiché il confronto è avvenuto a porte chiuse manterremo il riserbo sull'identità dei presenti – un modo per rispettare il format prescelto – mettendo in evidenza le considerazioni che sono state sviluppate intorno al tavolo dove la discussione è stata franca con molti punti di convergenza e altri di contrasto. Considerata la qualità dei convenuti vale la pena di tentare una sintesi.
Come premessa potremmo evidenziare la convinzione che quello che vale per il Mezzogiorno vale in gran parte per l'intero Paese. Solo che al Sud – assieme all'energia uno degli interessi qualificanti della Fondazione – tutto è più accentuato e quindi maggiormente visibile. Osservare gli andamenti e i comportamenti che qui si riscontrano risulta dunque un esercizio molto educativo.
Per prima cosa manca una visione su quello che vorremmo e potremmo essere. Nonostante gli sforzi e gli ammonimenti di tanti centri di ricerca e istituti di cultura siamo portati a muoverci a casaccio, senza una regia e una direzione ben precise, con il risultato di fallire anche laddove ci sarebbero tutte le condizioni per far bene. Da qui il lungo elenco che va sotto il capitolo delle occasioni perdute.
La più rilevante causa di questo stato di cose può essere rintracciata nell'endemico deficit organizzativo che caratterizza la politica e le pubbliche amministrazioni come anche, in qualche misura, la conduzione delle organizzazioni rappresentative. Troppo estroversi e fantasiosi, volendo essere generosi, per applicarci su azioni e strategie di medio e lungo termine.
Si può spiegare così il paradosso della povertà che ci portiamo addosso – ricchezza pro capite che è la metà di quella delle regioni del Nord, disoccupazione alle stelle, scarsa vivibilità secondo tutte le graduatorie – nonostante possediamo un patrimonio invidiabile e forse unico al mondo in termini di bellezze storiche, artistiche e naturali. Manca un'oculata gestione delle risorse di cui disponiamo.
Alla base del problema c'è una bassissima propensione a scegliere. A prendere decisioni chiare e vincolanti. L'impressione è che qui sia sempre possibile tutto e il suo contrario. Ciascuno fa di testa sua annullando così anche l'apporto delle migliori intelligenze. Che abbondano, siamo tutti d'accordo, ma che per mostrarsi hanno bisogno di cambiare aria. In una parola, di emigrare.
Questa debolezza, che possiamo rintracciare anche a livello nazionale – vedi l'impostazione del Piano di ripresa e resilienza parcellizzato in una moltitudine di progetti forse buoni per fare spesa ma non per costruire un piano organico di crescita -, ci impedisce di recuperare un divario territoriale e di opportunità che infatti aumenta. La competizione non fa per noi e così si spiegano le sconfitte.
Abbiamo numerosi punti di forza – nella logistica, nel turismo, nel digitale, nell'agroalimentare, nell'aerospazio, nello stesso campo dell'energia – ma non ci scommettiamo su come dovremmo. Invece di fare leva su quello che ci unisce tendiamo a litigare su quello che ci divide. E disperdiamo le energie a vantaggio di chi sa approfittarne proponendo autonomia e spesa storica.
Avremmo bisogno di competenze di cui, per carità, non difettiamo ma che non stanno al posto giusto. La selezione avviene ancora in prevalenza premiando l'appartenenza. I decisori, di conseguenza, non sanno o non vogliono premiare il merito e l'impegno con il risultato che i gangli vitali della società quasi mai sono presidiati da chi saprebbe come farli funzionare.
Le imprese, a parte le debite eccezioni, sono più pronte e preparate a intercettare favori e incentivi che le vere traiettorie dello sviluppo. C'è chi dal suo osservatorio privilegiato nota che qualcosa sta cambiando. Il territorio si popola nonostante tutto di operatori via via più consapevoli del ruolo e della propria missione. Ma il contesto non aiuta e il sistema resta intrappolato nell'incompiutezza.
Insomma, le occasioni da cogliere sarebbero tante e davvero il Mezzogiorno potrebbe acquistare centralità diventando l'hub energetico d'Italia, e per questa via d'Europa, facendo di necessità virtù e contribuendo a raggiungere l'obiettivo dell'autonomia e della sicurezza nazionale nell'approvvigionamento di energia da fonti rinnovabili. Certo, sempre a volerlo davvero...