Un farmaco utilizzato da tempo per trattare un particolare disturbo del fegato ha fatto fare il primo passo verso una nuova idea di farmaci anti-Covid-19: anziché utilizzare come bersaglio il virus, si punta a chiudere la sua porta di accesso, cioè i recettori presenti sulle cellule umane.
Si colpiscono cioè proteine che non mutano, a differenza di quelle del virus, e il farmaco dovrebbe perciò risultare efficace anche contro le varianti presenti e future del virus SarsCoV2, e forse anche contro nuovi coronavirus che potrebbero emergere. La scoperta, aenuta per caso, è stata pubblicata sulla rivista Nature e si deve alla ricercatrice italiana dell'Università britannica di Cambridge, Teresa Brevini.
Il farmaco, chiamato Udca, è già stato testato contro il Covid-19 su mini-organi cresciuti in laboratorio (organoidi), su criceti, su polmoni umani e su alcuni volontari, dimostrandosi efficace.
"L'attuale convivenza con Covid-19 non è accettabile, è una sorta di 'tregua armata', perché non esclude l'insorgenza di varianti più patogene del virus", dice all'ANSA Ernesto Carafoli, del Politecnico di Zurigo e dell'Università di Padova e membro dell'Accademia dei Lincei, non coinvolto nello studio. "Questa ricerca risponde bene alla necessità di mettere completamente fuori combattimento il virus e l'idea alla base è quella giusta, tuttavia - aggiunge Carafoli - manca una strategia generale, perché non ci possiamo basare solo su una molecola, specie se guardiamo al futuro. Quello che ci serve è una banca-dati con miliardi di molecole per affrontare non solo la pandemia attuale, ma quelle future: se non facciamo nulla, moriremo per una pandemia virale molto prima che per le conseguenze del cambiamento climatico".
I ricercatori di Cambridge si sono imbattuti in un effetto finora trascurato del farmaco Udca mentre lavoravano su organoidi di fegato. Hanno visto così che questo agisce su una molecola chiamata Fxr, che a sua volta chiude i recettori ACE2 presenti sulla superficie delle cellule umane, le porte di ingresso che il virus Sars-CoV-2 usa per infettarle. Si tratta tuttavia, secondo Ernesto Carafoli, di una soluzione che ha un punto debole: "I recettori ACE2 sono proteine essenziali del nostro corpo, quindi disattivarli non è l'ideale: potrebbe essere un trattamento utilizzabile in caso di emergenza e per breve tempo, ma non una soluzione a lungo termine. È proprio per questo motivo - sottolinea - che abbiamo bisogno di un approccio più sistematico".
I ricercatori hanno dimostrato l'efficacia del farmaco anche in un organismo vivente, i criceti, e in polmoni umani donati e non adatti per il trapianto, mantenuti funzionanti al di fuori del corpo. I polmoni sono stati esposti al virus, e ad uno di essi è stato somministrato il farmaco: quest'ultimo non si è infettato, al contrario dell'altro. Infine, i ricercatori hanno anche reclutato otto volontari, che hanno ricevuto il farmaco e hanno mostrato un abbassamento dei livelli di recettori ACE2 nelle cellule del naso, fattore che darebbe al virus minori possibilità di infezione. "Utilizzando quasi tutti gli approcci a nostra disposizione - commenta Brevini - abbiamo dimostrato che un farmaco esistente chiude la porta al virus".