di Silvana Mangione
Ripercorriamo, a partire da oggi, il quadro delle battaglie sostenute dagli italiani nel mondo, da quasi trent'anni in materia di informazione delle e sulle comunità. Pressoché nulla è stato fatto in materia di circolarità delle notizie e di scambio paritario delle linee di comunicazione fra l'Italia e il mondo italiano all'estero. Nel suo primo mandato (1991 – 1998) il Consiglio Generale degli Italiani all'Estero, insieme all'allora Ministero degli Affari Esteri – MAE, organizzò quattro convegni sulla comunicazione, intitolati rispettivamente: "il Fattore Informazione" – Convegno Internazionale dell'Informazione per le comunità italiane nei Paesi anglofoni (New York, 14 – 15 maggio 1994); "Convegno dell'informazione per le comunità italiane in America Latina" (San Paolo del Brasile 15 – 17 dicembre 1994); "Informazione e comunicazione nell'Italia fuori d'Italia" (Europa e Mediterraneo, Berlino 30 giugno – 2 luglio 1995); "Conferenza mondiale per una politica dell'informazione italiana all'estero" (Milano, 11 e 12 dicembre 1996).
Ogni incontro si concluse con un documento finale, la cui costante lamentela consisteva nel denunciare l'insufficienza del sostegno di Governo ai mass media italiani fuori d'Italia e la totale mancanza di informazione di ritorno. Chiedevamo che si creassero, appunto, le condizioni per una circolarità dell'informazione. Volevamo sapere quanto succedeva in Italia, ma eravamo altrettanto ansiosi che l'Italia sapesse chi eravamo e cosa facevamo noi, in giro per il mondo. Da New York dicemmo, fra l'altro: "La Conferenza [...] svoltasi con la partecipazione di delegati e invitati provenienti da Australia, Canada, Stati Uniti e Sudafrica [...] apprezza l'insostituibile lavoro svolto, a prezzo di sacrifici anche finanziari, dagli operatori dei mass media locali, che hanno mantenuto un collegamento vivo e costante fra le comunità e l'Italia. Deplora la scarsità e la frequente deformazione dell'informazione diffusa in Italia sulle attuali realtà delle comunità italiane all'estero. [...] La Conferenza chiede che il Governo e il Parlamento si impegnino a definire una politica quadro dell'informazione per gli italiani all'estero che risponda a una precisa strategia della conoscenza reciproca, che valorizzi le comunità come risorsa, fattore positivo per la crescita delle società locali e di quella italiana, da attuarsi mediante il corretto impiego degli strumenti di informazione e dell'editoria italiana e locale".
Elencavamo, 28 anni fa, le cinque tipologie di interventi –
primo: il trasferimento all'estero di prodotti e programmi italiani già diffusi sul mercato italiano;
secondo: la collocazione di prodotti e programmi dedicati alle comunità italiane all'estero;
terzo: le realizzazioni editoriali e di comunicazione dei mass media locali operanti all'estero con prevalente destinazione la comunità locale e prevalente utilizzo della lingua italiana;
quarto: i flussi di comunicazione e informazione provenienti dalle comunità e diretti in Italia;
quinto: le realizzazioni editoriali, audiovisive e di comunicazione delle imprese italiane operanti all'estero in una vasta rete di business community.
Chiedevamo di modificare la legge che prevede contributi alla stampa italiana all'estero aumentandone l'entità; di allocare ai mass media italiani all'estero una percentuale fissa della pubblicità istituzionale, al fine di salvaguardarli e potenziarli; di garantire le condizioni di funzionamento e operatività dei giornali in piena autonomia, attribuendo loro una rappresentanza anche a livello delle Commissioni che decidono l'erogazione dei contributi. Scarsa e disomogenea fu la risposta alle nostre richieste. E quanto riuscimmo a ottenere fu poi disatteso, anche dalla normativa approvata negli ultimi anni. È stata cancellata la presenza dei rappresentanti dei media degli italiani all'estero nella Commissione Nazionale per l'editoria.
I fondi allocati a sostegno dei giornali prodotti e stampati localmente non sono adeguati ai tempi. Le procedure per l'attribuzione e l'erogazione dei contributi ai quotidiani hanno portato alla chiusura di testate storiche.
Il dovere dei Com.It.Es. di esprimere un parere obbligatorio, ma non vincolante, su tre aspetti concreti della loro esistenza, si è trasformato in un'arma impropria, che rischia togliere la gioia di iniziare la giornata assaporando articoli delle maggiori firme italiane e estere sia la comunità italiana in Uruguay che sfoglia Gente d'Italia che gli oltre 600.000 lettori della versione elettronica nel mondo. La stampa è e sarà sempre il quarto potere, come l'ha battezzata un'espressione nata alla fine del Settecento in Inghilterra. A Parlamento, Governo e Magistratura si aggiunge infatti la stampa, che è lo strumento principe della protezione della democrazia. Nel corso della storia, la prima decisione di ogni dittatore salito al vertice dello Stato è quella di chiudere i giornali, mettendo in galera i giornalisti che raccontano la realtà com'è davvero e non hanno paura di contrastare i diktat dell'uomo solo al governo.
Per questo, la nostra bellissima Costituzione sancisce all'articolo 21 che: "La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure". Ecco perché il parere obbligatorio del Com.It.Es. sulla richiesta di contributi dello Stato da parte della stampa locale non può e non deve trasformarsi in un'arma di vendetta del singolo Re travicello, piovuto dal cielo, come poetizza Giuseppe Giusti. L'atto perpetrato dal Com.It.Es. di Montevideo, e non ancora smentito a livello diplomatico, costituisce infatti un pericoloso abuso di potere istigato dal reuccio Lamorte (appena cominciato il giudizio in Uruguay per flagranza di tre reati) contro chi non si inchina al suo accumulamento di titoli e onori. Continueremo a parlare di questi temi, rileggendo insieme anche il bellissimo documento finale della Conferenza sull'informazione in America Latina.