di Maurizio Guaitoli
La Storia citerà che, a oggi, stanno in piedi solo le parole che definiscono i suoi valori astratti, che però nessun Monte dei pegni prenderebbe a riscatto, un po' come le famose tabacchiere di legno che non valgono nulla per le persone venali. Nessun pensiero interventista nei confronti dell'Iran che opprime e perseguita i suoi giovani, comportandosi i mullah ancora peggio di Nicolás Maduro e delle sue squadre della morte, dato che in nome del Dio Allah e non del laicissimo comunismo si procede "religiosamente" agli stupri di genere di persone (soprattutto giovani donne) incarcerate per aver manifestato contro l'obbligo del velo. Un regime teocratico, quello insediato nel 1978 da Ruhollah Khomeyni, che semina terrore e violenza gratuita in tutto il Paese con i suoi basidij e i temutissimi Guardiani della Rivoluzione, loro sì super armati e con licenza di uccidere. E poiché nella versione sciita e khomenista del sunnismo non c'è alcuna separazione tra il potere secolare e quello religioso unificati dalla Sharia, il patibolo diviene parte integrante del modus operandi dell'amministrazione religiosa, per cui sono i sacerdoti stessi a decretare la pena di morte per il peccatore, il reo o il blasfemo, senza nemmeno più bisogno di ricorrere alla finzione del processo che contrappone le ragioni dell'accusa a quelle della difesa. In fondo, che bisogno c'è di un giudizio equo se in precedenza l'accusato ha confessato regolarmente sotto tortura di essere colpevole per avere violato la sacra legge di Dio? Insomma, una Santa Inquisizione permanente e irrevocabile.
In questo senso la percezione della donna, identificata come oggetto-soggetto dedito alla perdizione dell'uomo, è identica a quella di un tempo dell'integralismo cristiano misogino e prima ancora biblico (a causa della famosa mela), per cui il suo destino è di essere assoggettata all'uomo. Ed è bene ricordare che, fino a qualche secolo fa, i religiosi di casa nostra si chiedevano seriamente se le donne avessero un'anima! E nell'Islam è l'uomo che ha il diritto di controllare la donna rinchiudendola nelle mura domestiche, e di reprimere i richiami demoniaci derivanti dalla sua sessualità, imponendole di nascondere il corpo e il volto in particolare. All'interno di questo folle mondo islamista, la Morte per impiccagione rappresenta filologicamente solo un accesso diretto (e un po' scomodo, per la verità) a Dio, che pretende gli sia dedicata l'intera vita dei fedeli in base ai precetti stabiliti nel Corano. Secondo questa logica capovolta, la condanna capitale è pertanto un atto di pietas dell'autorità religiosa responsabile, per inviare il reprobo direttamente nelle braccia di Allah affinché lo giudichi ed, eventualmente, lo assolva aprendogli le porte dorate del suo Paradiso dolce come il miele. Almeno, nella Roma papalina prima di tagliare la testa al condannato gli si offriva l'opportunità di confessarsi e di prendere i sacramenti, garantendogli così il Paradiso.
A questo punto della tragedia iraniana occorre chiedersi: come si aiutano quei milioni di giovani a realizzare il tanto agognato "regime change", visto che anche nel caso pluridecennale dell'Iran le sanzioni imposte dall'Occidente non hanno avuto effetto in tal senso? Perché, una cosa è chiarissima: o l'esercito iraniano prende posizione a favore della rivolta pacifica, o qualcuno dovrà rifornirla di armi perché a questo punto non resta che la guerra civile per mettere fine a un regime spietato, senza intervenire dall'esterno.
Va detto che quando siamo intervenuti direttamente, con qualche ragione, in Afghanistan e a torto in Iraq grazie a un'imperdonabile menzogna, le conseguenze sono state devastanti per le nostre coalizioni of the willing (o degli uomini di buona volontà) e per loro. Ne sono seguiti infatti decenni di occupazioni militari che, o ci hanno riportato al punto di partenza come a Kabul, o si sono rivelati un disastro procurando una guerra religiosa e civile e infiniti lutti alla popolazione "liberata"! Nel caso della "rivoluzione ghandiana e non violenta" iraniana, la geopolitica impedisce la sua mutazione in moti per così dire "risorgimentali", in cui i patrioti combattono in armi l'odiato occupante. È interessante, da questo punto di vista, esaminare le ragioni che consigliano estrema prudenza e distacco ai Paesi che sono direttamente minacciati dallo Stato teocratico, come Arabia Saudita e Israele.
Nel caso di Riad (il nemico sunnita irriducibile di Teheran) giocano almeno due interessi contrastanti. In primo luogo, la netta contrarietà degli sceicchi arabi al merito stesso della rivolta pacifica delle donne iraniane contro l'obbligo del velo islamico, ritenuto del tutto naturale e rispettoso del "dress-code" islamico sunnita, altrettanto misogino come quello khomeinista. Dall'altro lato, l'Arabia Saudita è il più grande produttore di petrolio dell'area e, se mai dovesse tornare una parvenza di regime democratico in Iran, ciò significherebbe nel suo caso perdere la posizione di privilegio e di quasi monopolio energetico di cui gode attualmente, nella sua posizione invidiabile di rendita petrolifera, dato che Teheran sarebbe in tal senso un temibilissimo competitor sui mercati internazionali. Infine, e forse in primo luogo, stanno cambiando le grandi alleanze mondiali che vedevano al centro l'unica polarità degli Stati Uniti come protettori del mondo libero, visto che grazie alla guerra in Ucraina si stanno rafforzando una serie di poli alternativi, come i Brics (Brasile Russia India Cina Sudafrica), Cindia (Cina e India) e l'Africa continentale, sempre più orientata a una terza posizione dei Paesi in via di sviluppo, e ormai fortemente dipendente dagli investimenti cinesi nel continente e dalla presenza militare dei russi nelle regioni più turbolente. Per Israele, le cose, se possibile, sono ancora più complicate, trattandosi di un Paese preso nella morsa, da un lato, dell'Iran sciita e dagli Stati arabi ancora ostili all'esistenza di Israele, mentre dall'altro è minacciata in permanenza da una sempre più incisiva minaccia iraniana nell'area, grazie alle milizie sciite libanesi e alla presenza di Hamas in Cisgiordania, perennemente rifornito di tecnologia missilistica dall'Iran per colpire lo Stato ebraico.
Fornire armi alla Rivoluzione iraniana, pertanto, rischia di portare Israele a un conflitto aperto con Teheran, mobilitando nella popolazione un sentimento nazionalistico anti-israeliano e anti-occidentale che porrebbe automaticamente la parola fine alle attuali manifestazioni pacifiche. D'altra parte, esiste una cifra geopolitica molto importante, rappresentata dalla polarità Iran-Russia, entrambi oggetto di pesanti sanzioni da parte dell'Occidente, che tendono a darsi manforte l'uno all'altro, attraverso la fornitura di armamenti avanzati, come i droni d'attacco iraniani che tanti danni stanno procurando alle reti civili ucraine, elettrica ed idrica. Come fa notare senza giri di parole il The Times del 12 dicembre 2022 ("Teheran's Depravity") gli Stati Uniti hanno allertato il resto del mondo in merito al fatto che "la sempre più stretta relazione tra Russia e Iran sta convergendo verso una piena partnership militare che pone un serio problema alla sicurezza globale, per quanto riguarda la produzione di armamenti avanzati", nucleare compreso, ovviamente! In cambio della sostanziale alleanza con l'Iran, la Russia ottiene un aiuto consistente all'esportazione verso Paesi terzi del suo petrolio, mentre entrambi i Paesi sono impegnati a sostenere in funzione antiamericana il regime di Maduro, e a contrastare l'egemonia degli Usa in tutti i teatri del mondo. Israele, ancora una volta, benché disponga segretamente dell'arma nucleare (soprattutto tattica) e abbia capacità offensive nettamente superiori ai suoi avversari, prima di procedere a un devastante "first-strike" deve tenere conto dei suoi delicati equilibri interni e, in particolare, della popolazione ebraica russofona, che le impone una "Realpolitiks" di sostanziale neutralità nei confronti di Mosca. Resterebbe l'America, che però ha tutto l'interesse a contrastare Mosca nello scenario europeo tralasciando ormai quello mediorientale, avendo raggiunto da tempo l'autosufficienza energetica (diventando addirittura un esportatore netto di shale gas!).
Dal punto di vista di Washington tra l'altro, sostenere e armare la rivoluzione dei giovani in Iran non avrebbe lo stesso senso di quello delle attuali forniture all'Ucraina. Da un lato, infatti, per Joe Biden e soci, la presenza di un Iran direttamente minaccioso nei confronti degli Stati arabi sunniti confinanti e di Israele consente agli Usa di mantenere in parte il suo ruolo di grande player nell'intera, turbolenta area da cui ancora dipende l'intero Occidente (soprattutto dopo la nostra rinuncia alla dipendenza dal gas e dal petrolio russi) per le sue forniture energetiche. Miei cari giovani e coraggiose donne iraniane i tempi, come vedete, non giocano purtroppo a vostro favore!