"'O sole mio" è la melodia napoletana conosciuta in tutto il mondo, pubblicata dall'editore Bideri nel 1898. Giovanni Capurro, giornalista e redattore delle pagine culturali del "Roma" di Napoli, scrisse i versi della canzone affidandone la composizione musicale al maestro Eduardo di Capua. L'artista compose la straordinaria melodia trovando ispirazione assistendo, all'alba, al sorgere del sole. Di Capua però non guardava il golfo di Napoli ma il mar Nero. Il maestro, in quel tempo, si trovava nell'Impero Russo, ed in particolare ad Odessa, al seguito di suo padre violinista in un'orchestra. Tra Odessa e Napoli intercorre un singolare, legame non solo dovuto alla composizione della canzone. Giuseppe De Ribas, mercenario napoletano, diede il nome di Odesso al preesistente villaggio tataro che, in seguito, divenne Odessa per volere della zarina Caterina II. La vicenda sovviene perché Odessa è una delle città più martoriate dal conflitto Russo-Ucraino, in corso già dal 2014 a seguito del colpo di stato di Piazza Maidan che costrinse alla fuga da Kiev il governo filo russo guidato da Yanukovich, frettolosamente sostituito da un governo filo occidentale. Ad Odessa, nel maggio 2014 si verificarono avvenimenti di inusitata gravità che possono essere considerati la genesi dello scontro apocalittico attualmente deflagrato in Ucraina. Al termine di una serie di violenti tafferugli con i militanti neonazisti di Pravy sektor ( settore destro),46 russi ortodossi vennero trucidati nell'edificio della casa dei sindacati. Odessa al 70% era abitata da russi. Per mesi a migliaia si radunarono per manifestare a sostegno dei propri diritti e libertà fondamentali. Fino a quando la polizia di presidio ebbe a ritirarsi dando campo libero alla barbarie dei militanti ultranazionalisti di settore destro. Questi ultimi costrinsero quattrocento filo russi a rifugiarsi nell'edificio in cui molti di loro trovarono la morte a seguito dell'incendio che venne appiccato. Adesso quello in corso sul fronte Russo-Ucraino è uno dei conflitti più cruenti che la storia dell'umanità abbia mai conosciuto. Stando alle stime diffuse a fine novembre dal capo di stato maggiore dell'esercito statunitense, dal 24 febbraio 2022, data di avvio dell'operazione speciale, a soli di dieci mesi dall'inizio del conflitto, risultano già caduti circa oltre duecentomila soldati e circa quarantamila civili.Il dato numerico delle vittime costituisce un'enormità se valutato in rapporto all'esiguità del tempo trascorso dall'inizio delle ostilità, ed al numero di caduti registrato all'esito di analoghe esperienze di guerra. Il primo conflitto in Afghanistan è durato dieci anni. E soltanto alla fine si stimarono, in totale, 15.000 soldati russi deceduti. Sempre in Afghanistan e nel vicino Pakistan, con gli Stati Uniti aggressori, il successivo conflitto provocò circa duecentocinquantamila vittime, ma in venti anni. La guerra in Bosnia-Erzegovina, durata tre anni e otto mesi, fece 105.000 morti, civili compresi. Il conflitto in Ucraina con i suoi ottocento morti al giorno, compresi i non militari, è già ben oltre gli esiti infausti citati quali termini di paragone, dopo solo dieci mesi. Eppure mai, come innanzi alla virulenza del conflitto in atto, si è rivelato assordante il silenzio del fronte internazionale pacifista o di qualsivoglia movimento non interventista. I movimenti pacifisti, infatti, nel corso di altri conflitti si sono levati ad invocare il cessate il fuoco, assurgendo a costante fattore politico tutt'altro che irrilevante. Il ceto intellettuale (mondo accademico, uomini di cultura, associazioni, sindacati, movimenti studenteschi e volontariato) ha deliberatamente rinunciato, stavolta, ad ergersi quale massa d'urto contro il perdurare del massacro. Eppure quella che ormai ha assunto il connotato di una guerra di logoramento è già stata pesantemente dannosa per il popolo ucraino, oltre che per i paesi europei e quello russo. Si pensi che, in aggiunta ai caduti, già sei milioni di ucraini sono stati costretti ad abbandonare il paese, l'economia è crollata, le infrastrutture energetiche sono distrutte di talché su quel popolo incombe una catastrofe umanitaria dovuta anche ai rigori del clima invernale. La narrativa su cui si allineano i media occidentali fonda, invece, sugli usurati clichè della consueta retorica del "nemico assoluto", male che va sconfitto a tutti i costi in nome della libertà e democrazia. E questa visione cripto manichea impedisce il manifestarsi di una condizionante volontà collettiva volta ad esigere il ricorso alla via diplomatica per la risoluzione della crisi. Con il nemico assoluto, con Putin, come con Hitler, Saddam, Milosevic, Gheddafi, Bin Laden, non si viene a patti. Occorre distruggere il male affinché il bene trionfi. Il nodo profondo della questione è che sia l'Europa che l'Italia, in tale scenario, si sono rivelate, nello scacchiere internazionale, poco più che una mera espressione geografica, ectoplasmi politici in grado solo di mettersi a ruota degli stati uniti ai cui obiettivi si sono piegati e sottomessi. In questo contesto, le prospettive che la tragedia fratricida giunga finalmente al termine, appaiono meno che flebili. Durante il Natale cattolico, il sanguinoso conflitto non ha conosciuto alcuna tregua. Sia il popolo russo che quello ucraino, sono popoli però di fede ortodossa. E la tradizione ortodossa celebra il Natale il 7 gennaio. L'auspicio è che fino ad allora 'O sole mio, quale canto universale, si diffonda per le contrade di Europa interpretando il fraterno comune sentire dei popoli e la loro condivisa aspirazione alla pace. Che bella cosa è na jurnata e sole, l'aria serena dopp na tempesta. Per l'aria fresca è tutta già 'na festa, Che bella cosa è na jurnata e sole.