Franco Esposito
Individualista accertato, anarchico nell'animo e nel pensiero, si è spento a novantanove anni. Il 14 luglio 1948 il suo clamoroso gesto rischiò di scatenare la guerra civile in Italia. Antonio Pallante sparò a Palmiro Togliatti, segretario del Partito Comunista Italiano. Un attentato in piena regola, consumato all'esterno di un'uscita secondaria di Montecitorio, lato via della Missione.
Togliatti era in compagnia di Nilde Iotti, la socialista a lui sentimentalmente a lui legata. Poi Bartali vinse la tappa di montagna al Giro di Francia e il rischio guerra svanì, sfumò definitivamente. E quando Gino Bartali si prese il Tour l'umore in Italia era già rientrato nella norma.
Anni difficili, quelli. La scomparsa di Pallante risale al 6 luglio, ma non si capisce per quali misteriosi motivi sia stata mantenuta segreta fino ad oggi. Forse la famiglia ha inteso seguire un tipo di comportamento mirato alla stessa discrezione che ha caratterizzato la vita di Antonio Pallante. Protagonista all'epoca della storia nazionale, per settant'anni nell'ombra, per libera scelta personale. Pallante centrò Togliatti con tre proiettili. Il cospicuo uomo politico amico dell'Unione Sovietica fu operato d'urgenza dal massimo chirurgo dell'epoca, Pietro Valdoni.
La ripresa fu quasi immediata. E lo stesso Togliatti, appena recuperata la lucidità, invitò i dirigenti del Pci alla calma, Scatenare un'insurrezione avrebbe implicato la sconfitta certa dei rivoltosi e la messa fuorilegge del partito. Anche alla luce della enorme vittoria conseguita dalla Democrazia Cristiana il 18 aprile precedente. A rasserenare gli animi, come detto, contribuì indubbiamente Gino Bartali, corridore ciclista fiorentino. Uno dei massimi dell'epoca, in grado di stracciare, nella tappa di montagna Cannes -Besancon, il 15 luglio. Messo a tacere Louison Bobet, l'idolo dei francesi. Il premier Alcide De Gasperi si era premurato di telefonare a Bartali, il giorno prima a Cannes. Pare abbia rappresentato al corridore "la necessità nazionale dell'affermazione italiana". Bartali vinse il giorno dopo e ancora, fino alla conquista finale del Tour de France.
Bartali divenne il salvatore della Patria. Ricevuto al Quirinale dal presidente della Repubblica, Luigi Einaudi e da Pio XII in Vaticano, venne elevato a livello di eroe nazionale. In un'Italia cattolica e moderata, che vinceva. Si ripeteva il, 18 aprile.
Antonio Pallante, siciliano, veniva da Randazzo. Intanto, però, i moti di piazza erano dilagati. Si registrarono trenta morti fra manifestanti e forze dell'ordine. Mentre dilaga la convinzione, provocata ad arte alla stampa di sinistra, che denunciò la presunta congiura "dell'imperialismo americano, della Cia e della mafia". In realtà, Pallante era un solitario e si era autoconvinto che Togliatti "agente di Stalin in Italia, rappresentasse il massimo pericolo per il Paese". In completa solitudine, si fece dare pochi soldi dal padre per comprare un revolver a Catania. Un ferrovecchio di inizio secolo con il quale pretese di sparare a Palmiro Togliatti. Il quale ci avrebbe rimesso la pelle se quella pistola fosse stata migliore di quel ferrovecchio. E forse l'Italia si sarebbe ritrovata nella guerra civile.
Pallante fece tutto da solo, nella personale convinzione assoluta della forza e del significato del suo gesto. Come dimostrò la lettera che scrisse dal carcere di Regina Coeli: mai pentito dell'attentato, e dispiaciuto solo "dei molti poliziotti che morirono negli scontri di piazza". Togliatti, mesi dopo, contraddisse il mito della congiura imperial capitalista costruito dal giornale del Pci, l'Unità. Non c'era alcuna evidenza che Pallante fosse l'emissario di una organizzazione interna o esterna al Paese. Pallante fu scarcerato nel Cinquantatre.
Ma va pure detto che non furono mai comprese le conseguenze che ebbe e che avrebbe potuto avere l'attentato. L'Italia era a poche settimane dalla clamorosa sconfitta delle sinistre alle elezioni politiche del 18 aprile, per la prima legislatura repubblicana. Una debacle non ancora metabolizzata. L'attentato a Togliatti poteva quindi funzionare da "detonatore della rivincita".
L'onorevole sindacalista Di Vittorio decise di proclamare lo sciopero generale. Una utile mossa per "assorbire e regolare le proteste". E sulla proclamazione dello sciopero generale divenne reale l'intesa con la componente cattolica del sindacato, guidata da Giulio Pastore. Il quale colse con tempismo il momento per abbandonare la Cgil unitaria. Il risultato fu la fondazione della libera Cgil e poi della Cisl. Ne conseguì, nell'immaginario collettivo, la visione di un'Italia spaccata, in infelice contrapposizione di un Paese privo di sfumature.
Ma sì, il bene vinse. Anche se risulta molto difficile ragionare con pacatezza. L'Italia aveva completato la scelta di campo.