Leggendaria e incredibile, la traversata transatlantica compiuta alla fine dell’ottocento da tre marinai italiani emigrati in Uruguay era destinata a scomparire per sempre e finire nel dimenticatoio. A tirare fuori questa storia dalla polvere delle biblioteche ci ha pensato la tenacia di un editore-scrittore come Giuseppe Galzerano che dal Cilento guarda al mondo attraverso i libri. Uno di questi è “Dall’America all’Europa. La «traversata» di Vincenzo Fondacaro” che racconta un’avventura straordinaria frutto di coraggio, follia, solitudine e tanto altro che meriterebbe senz’altro un film. Dopo la prima edizione del 1995, il libro è stato recentemente aggiornato con una seconda edizione arricchita da nuovi preziosi documenti dell’epoca tra cui tanti articoli giornalistici che diedero ampio spazio all’impresa.
Questa storia appassionante inizia il 3 ottobre del 1880 nel porto di Montevideo e vede come protagonisti tre uomini che si ritroveranno completamente soli in mezzo all’Oceano Atlantico per tre lunghissimi mesi in balia delle onde, delle tempeste, dell’ignoto e del pericolo. Vincenzo Fondacaro, il capitano del piccolo equipaggio che ci ha descritto tutto nel suo diario di bordo, era un calabrese che da Bagnara Calabra (Reggio Calabria) aveva girato il mondo navigando e che era rimasto molto provato dalla pesante sconfitta di Lissa, un duro colpo per la marina militare italiana. Insieme a lui a Montevideo c’erano anche Orlando Grassoni, marchigiano di Ancona, e Pietro Troccoli, cilentano di Marina di Camerota (Salerno).
Vincenzo Fondacaro
Dopo varie peripezie, i tre marinai toccarono la terra ferma, nelle isole Las Palmas, il 9 gennaio del 1881 per giungere successivamente nel porto di Livorno il 9 giugno del 1881. Il sogno era diventato finalmente realtà.
Per realizzare l’impresa i tre marinai avevano fatto costruire una piccola imbarcazione di 9 metri di lunghezza finanziata dalla nutrita comunità italiana uruguaiana insieme a quella argentina. La traversata aveva un chiaro carattere politico dato che i tre uomini erano dei ferventi garibaldini. Proprio per questo decisero di ribattezzare il battello con il nome di Leone di Caprera in omaggio all’eroe dei due mondi a cui volevano portargli un dono, un segno di riconoscimento per quello che Garibaldi aveva fatto in queste terre così legate all’Italia. Inizialmente volevano consegnarli una spada d’oro ma i comitati garibaldini del Rio della Plata bocciarono seccamente la proposta viste le difficoltà a cui sarebbe andata incontro la navigazione. E allora scelsero di portare un album con le firme dei connazionali dell’Uruguay e dell’Argentina che riuscirono a consegnare al generale.
“Con questa avventura avvincente, che da allora non è stata più ritentata, i tre emigranti conquistarono un primato mondiale che appartiene a tutta l’umanità” si legge nella prefazione di Galzerano. “Questi tre marinai determinati e coraggiosi su un piccolo battello sono riusciti a sfidare l’imprevisto, l’ignoto, il pericolo -che è l’unica certezza- e alla fine riescono a «vincere» le imprevedibili insidie dell’Oceano. Da soli, senza radio, senza nulla e più di cento anni fa. Una «traversata» sulla quale, tranne i tre marinai accompagnati dal loro coraggio e da un’indiscutibile audacia, nessuno avrebbe scommesso un centesimo, perché si trattava di rischiare, con novantanove probabilità su cento, la propria vita. Erano tre marinai italiani, che erano stati costretti a fuggire dai loro paesi e a percorrere i laceranti ed impervi sentieri dell’emigrazione transoceanica”.
i tre marinai
Per Galzerano questa è una “vicenda internazionale che lega contesti e situazioni diverse” e che può avare diverse chiavi di lettura unite dal coraggio. L’obiettivo del libro è proprio quello di “recuperare una memoria storica marinaresca che è del tutto sconosciuta e che rischiava di perdersi definitivamente”.
L’impresa -come riferisce lo stesso Fondacaro nel suo diario di bordo- era anche un esperimento scientifico di notevole valore, perché aveva lo scopo di dimostrare che le onde dell’Oceano si possono placare con l’olio. Durante il viaggio, quotidianamente, venivano usati dieci litri di olio in caso di grave pericolo, altrimenti erano sufficienti tra i quattro e i sei litri giornalieri e, ricorrendo a questo “stratagemma”, si riuscì a raggiungere la terraferma, superando brillantemente la prova. Una prova, una sfida, che rischiava di essere dimenticata prima della pubblicazione di questo libro che era davvero necessaria.
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