di Fabio Marco Fabbri

 

La guerra può essere combattuta e gestita in vari modi. Una delle sue varianti è quella di come viene avvertita la perdita di un soldato. I regimi autoritari hanno una percezione della scomparsa dei propri militari decisamente o moderatamente diversa dalle nazioni che ostentano sensibilità non autoritarie o democratiche, oppure apparentemente non guerrafondaie. Ricordo il “pensiero” dell’allora presidente dell’Iraq, Saddam Hussein, quando, durante la Prima guerra del Golfo, nel febbraio del 1991, furono massacrati battaglioni di soldati sull’autostrada della morte che va da Kuwait City Baghdad. Per la prima volta in quella occasione, ma anche successivamente, parlò del suo punto di forza militare, che era l’indifferenza per la morte in battaglia di “un milione di soldati iracheni”, in contrapposizione al “dramma che subiscono gli americani solo per la morte di un marine”. Un “punto di forza” che ha portato solo al massacro di decine di migliaia di iracheni e poi alla sua impiccagione da parte dei propri connazionali.

Comunque, è una “differenza” che prevede diverse strategie di combattimento. Al di là del cinismo dell’osservazione che espresse Saddam Hussein, è chiaro che tale percezione del “non peso sulla coscienza” della morte di migliaia di militari da parte dell’autocrate di turno non è estranea anche al presidente russo, Vladimir Putin. Infatti, secondo gli analisti militari, ma anche alla luce della realtà dei fatti, la Russia sta “investendo” molto più sul numero dei militari impegnati nella guerra in Ucraina che sulla loro qualità di combattenti. Così questa nuova massa di reclute russe, “carne da cannone” – la maggior parte composta da soldati inesperti ma già operativi sul fronte ucraino e manovrati anche dai mercenari russi Wagner – che viene mietuta a ondate sul fronte, complica le difese di Kiev. Anche per questo il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, sta spingendo sulla fornitura immediata di nuovi carri armati. L’esercito di Putin, semifallito il confronto con le armi convenzionali e indifferente alle enormi perdite di giovani coscritti con la forza, adesso sta adottando la banale e fredda strategia del rullo compressore umano al fine di sfondare alcune difese ucraine, seguendo l’antico motto “le guerre si vincono con gli scarponi”, cioè con il militare che combatte “porta a porta” e con un enorme pedaggio in vite umane.

La preoccupazione, creata da questa disperata e sprezzante strategia di Mosca, negli ambienti militari occidentali è crescente. La cosa certa è che il conflitto sta immergendosi in un nuovo periodo dove i russi giocano tutte le loro carte, esclusa ovviamente quella nucleare, e che potremmo definire una fase dove lo scontro si realizza in un generale incremento del massacro di massa. Gli ucraini, supportati, hanno resistito all’offensiva russa più di quanto Putin si aspettasse. Dopo la conquista delle città di Lysychansk e Severodonetsk, nel Donbass, avvenuta all’inizio dell’invasione, le truppe russe non hanno fatto progressi. A settembre, la controffensiva dell’esercito ucraino nella regione di Kharkiv è stata parzialmente, e a caro prezzo, frenata dai russi. La riva destra del Dnepr e la città meridionale di Kherson, a novembre, sono rientrate sotto il controllo ucraino, dopo che Kiev aveva tagliato le linee di rifornimento russe. Da allora, uno status quo ha congelato le posizioni, anche se i mercenari russi del gruppo Wagner affermano di aver preso Soledar, una cittadina del Donbass vicino a Bakhmut, che contava circa settantamila abitanti e dove da quattro mesi infuriano i combattimenti. Adesso, chiunque domina Soledar controlla solo le sue macerie. Una similitudine questa, nel dramma e nell’eroicità, con la battaglia di Verdun del 1916.Intanto, la conta dei morti sale. I dati ucraini affermano che dal 24 febbraio 2022 sono stati eliminati oltre 113mila soldati russi, circa la metà del contingente inviato da Mosca, anche se questi dati hanno una scarsa attendibilità perché difficilmente verificabili. Tuttavia, nei primi giorni di gennaio è stato reso noto il contenuto di una riunione tenuta alle Nazioni Unite, a porte chiuse, il 16 novembre, dove Hervé Bléjean, direttore dello Stato Maggiore dell’Unione europea, aveva stimato che se sessantamila militari russi sono stati uccisi, i feriti potevano essere il triplo. Quindi, sommando morti e feriti, almeno 250mila militari di Mosca erano “fuori uso”. Putin, a fine settembre, aveva firmato un decreto per l’arruolamento di circa trecentomila soldati: una mobilitazione enorme di riservisti e coscritti, un arruolamento ritenuto caotico dagli osservatori, in quanto sbilanciato per la penuria di ufficiali, con uno scarso equipaggiamento e con poche infrastrutture necessarie per addestrare un numero così elevato di reclute in un tempo brevissimo. Comunque, sembra che lo scopo di ripristinare le perdite sia stato raggiunto: quasi 90mila subito operativi sul campo ucraino, e oltre la metà direttamente al fronte.

In Ucraina, intanto, la Russia sta arretrando. A fine marzo del 2022 Mosca controllava poco meno del 25 per cento del territorio ucraino, con l’occupazione della Crimea e parte del Donbass, che sono il 6,5 per cento del territorio. Oggi il Cremlino controlla solo il 16,5 percento. L’esercito ucraino, a novembre, ha liberato tremilaottocento chilometri quadrati di territorio, a dicembre circa settecento. Anche la strategia del critico generale maresciallo musulmano ceceno Ramzan Kadyrov non ha avuto gli effetti sperati. Un avvicendamento continuo di generali russi pare non stia aiutando la strategia di guerra. Ora, il generale Valéri Guerassimov è stato nominato comandante dell’offensiva in Ucraina. La sua prima “firma” è stato il bombardamento sabato 14 gennaio di un edificio a Dnipro dove sarebbero morti, pare, oltre trenta civili. I feriti risulterebbero essere almeno una settantina, anche se le macerie potrebbero coprire ancora molti dispersi. Altri bombardamenti sono stati segnalati negli oblast di Kharkiv, Mykolayiv e Zaporizhia.

Nel frattempo, una soluzione non si scorge. Vladimir Putin, come una litania, ripete che la Russia è aperta a un dialogo serio, a condizione che le autorità di Kiev accettino le richieste ben note che tengano conto delle nuove realtà territorialiIntanto giovani coscritti e riservisti russi sono al massacro, in una guerra che non potrà sancire mai un vincitore. A meno che Putin non venga in qualche modo “eliminato” dallo scenario. Cosa che ora, viste alcune crepe del suo “sistema”, un sottoprodotto di neo-zarismo, non sembra impossibile.