di Roberto Paolo
La storia ufficiale della cattura del capo della mafia Matteo Messina Denaro è davvero incredibile. Non nel senso di stupefacente, proprio nel senso di non credibile. Le ricostruzioni passate dagli investigatori ai giornalisti sono piene di particolari incongrui quando non del tutto assurdi. Appare chiaro che la verità deve essere del tutto diversa e, probabilmente, indicibile. Ed è inevitabile non pensare alle rivelazioni fatte in tv dal "pentito" Salvatore Baiardo due mesi prima della cattura. Ma andiamo con ordine. E cominciamo dai tanti dubbi sulla versione ufficiale dei fatti.
Gli investigatori raccontano di essere arrivati al superlatitante seguendo la sua malattia. Avevano intuito, intercettando i familiari, che il boss soffriva di un tumore al colon e che si sottoponeva a chemioterapia. Quindi hanno consultato una fantomatica banca dati nazionale della sanità cercando persone di 60 anni con quella patologia. Infine, hanno fatto le verifiche su ognuno di loro finché il cerchio si è ristretto a pochi nomi e, tra questi, a quello di tale Andrea Bonafede, di Campobello di Mazara, a pochi chilometri da Castelvetrano, paese natio di Matteo Messina Denaro.
Una fandonia la storia del database di malati oncologici
La storia è assolutamente inverosimile innanzitutto perché non esiste un database nazionale dei malati oncologici. O quanto meno non esiste nessun archivio in cui siano schedati i pazienti con nome e cognome. I dati, se e quando vengono raccolti dalle Asl, sono in forma anonima. Si dice che ad un tale di sesso "x" e di età "y" è stata diagnosticata nell'anno "z" una certa patologia. Ma il nome del tale non viene né trasmesso né immagazzinato, anche perché non serve ai fini statistici. Inoltre, se pure esistesse un tale registro anagrafico e gli investigatori l'avessero interrogato cercando un paziente di 60 anni (Messina Denaro è nato nell'aprile del 1962), non sarebbero arrivati a Andrea Bonafede, che è nato nell'ottobre del 1963. In verità gli investigatori non potevano nemmeno sapere con quale nome, provenienza geografica e data di nascita si fosse registrato il boss nella struttura sanitaria dove si faceva curare. Poteva essere ovunque in Italia o all'estero e con un'età variabile, quanto meno tra i 57 e i 63 anni. E non sapevano neppure in che anno era stato diagnosticato il tumore a Messina Denaro, perciò bisognava cercare tra coloro che si sono ammalati almeno negli ultimi quattro anni. Ora, considerate che in Italia solo nel 2020 ci sono state 43.700 diagnosi di tumore al colon (dati del ministero della Sanità), moltiplicate per quattro e capirete che era come cercare il classico ago nel pagliaio. Figuriamoci poi senza avere i nomi ma solo il sesso, l'età e la provenienza geografica...
Lo strano caso di Andrea Bonafede: nessuno cerca la sua auto e i suoi appartamenti
Ma lasciamo da parte l'inverosimile pista del database nazionale dei malati oncologici. Comprensibilmente gli investigatori non vogliono farci sapere come sono arrivati al nome di Andrea Bonafede, ma in qualche modo ci sono arrivati. E che sorpresa è stata! Non si tratta mica di un insospettabile cittadino qualunque. No, si tratta di un amico di infanzia del boss, e a sua volta figlio di un mafioso che protesse la latitanza del padre di Matteo Messina Denaro. Cioè a dire: è una di quelle persone che dovevano già essere sottoposte a controlli a prescindere dal tumore al colon eccetera. Rientrava proprio nel giro di persone che in genere i boss usano per farsi aiutare nella latitanza. Invece niente. Di questo signore gli investigatori negli ultimi trent'anni si sono dimenticati. Vabbè, può succedere. Ora però abbiamo il suo nome, non importa come ci siamo arrivati, e sappiamo che con quel nome forse il padrino è in cura per un tumore al colon presso determinate strutture. Cosa fareste voi al loro posto? Probabilmente verifichereste se questo signore possiede auto o immobili o telefoni cellulari, e poi andate a controllare chi li utilizza realmente. Se lo avessero fatto sarebbero arrivati in cinque minuti al covo dove Matteo Messina Denaro si nascondeva e all'auto che utilizzava, entrambi intestati ad Andrea Bonafede, l'alter ego del padrino latitante. Invece niente. Covo e auto sono stati scoperti solo dopo la cattura del boss. Ed è davvero sconcertante leggere la versione ufficiale di come si è arrivati a scoprirli. La racconta l'Ansa e la riprendono tutti i giornali. Messe le manette a Matteo Messina Denaro, che ha in tasca una carta di identità intestata ad Andrea Bonafede, gli investigatori si domandano: dove si sarà nascosto fino ad oggi? Voi cosa avreste fatto? Non avreste chiesto allo stesso Bonafede? Loro invece non sanno dove sbattere la testa ma poi hanno una intuizione. Nel borsello del latitante c'è la chiave di un'auto, una Alfa Romeo. Le chiavi moderne sono dotate di un codice unico che le identifica. Attraverso i database della casa produttrice i carabinieri arrivano in poche ore al modello, una Alfa Romeo 164, al numero di telaio e alla targa dell'auto. Sorpresa: è intestata proprio ad Andrea Bonafede. Chi l'avrebbe mai detto! Sarebbe bastata una semplice visura al "Pubblico registro automobilistico", che qualsiasi cittadino può fare in pochi minuti. Invece no. Ad ogni modo, sono arrivati alla vettura utilizzata da Messina Denaro. Ma ancora non hanno alcuna idea di dove possa essere il covo. Allora, raccontano all'Ansa, mettono in azione una rete di telecamere intelligenti per il controllo stradale. Inserendo la targa dell'Alfa 164 rintracciano tutti gli ultimi passaggi dell'auto e da qui, scrivono i giornali, arrivano ad una telecamera che inquadra addirittura Matteo Messina Denaro mentre esce dall'auto con le buste della spesa ed entra in un condominio. I carabinieri piombano sul posto e finalmente trovano il covo, a Campobello di di Mazara, in via Cb 31. Solo a quel punto, nella serata del 16 gennaio, scoprono che anche il covo è intestato ad Andrea Bonafede, come l'Alfa 164. Che sorpresa. Sarebbe bastata una visura catastale di pochi minuti per trovarlo. Tanto più, lo dicono gli stessi investigatori in diverse interviste, che al nome di Andrea Bonafede erano arrivati già a dicembre. Perché fino al 16 gennaio nessuno aveva messo sotto osservazione gli immobili e le auto a lui intestate? Pensate che un altro immobile intestato a Bonafede, il cui indirizzo è riportato sulla carta di identità contraffatta trovata in tasca a Matteo Messina Denaro, in via Marsala 54 sempre a Campobello di Mazara, non viene sequestrato né perquisito fino a giovedì 19 gennaio, tre giorni dopo l'arresto del latitante.
Sembra un po' di risentire le trite barzellette sui carabinieri: due di loro devono avvitare una lampadina, uno sale sulla scala e mantiene ferma la lampadina, l'altro gira la scala. Ma sappiamo bene che gli investigatori dell'Arma sono tra i migliori al mondo. Allora, perché raccontarcela così? C'è qualcosa che non possono dire?
Perché arrischiare un blitz in clinica?
Ma tutto questo accadeva dopo la cattura. Torniamo invece a prima del 16 gennaio 2023. Sappiamo che Messina Denaro col finto documento intestato a Bonafede va a curarsi da tempo in una clinica. Un buon investigatore sarebbe corso in quella clinica e avrebbe cercato il numero di telefono che la struttura chiamava ogni volta per fissare gli appuntamenti per le visite e le terapie. Mettendo sotto intercettazione quel numero avrebbe ascoltato la voce e letto i messaggi di Matteo Messina Denaro. E, tra parentesi, avrebbe trovato anche le chat con gli altri pazienti oncologici e i selfie che il latitante più pericoloso d'Italia si faceva con gli infermieri della clinica. Invece, non è accaduto nulla di tutto questo.
Ma non è un problema. Perché gli investigatori raccontano di aver saputo comunque che quel tal signor Bonafede sarebbe tornato il 16 gennaio a fare un altro ciclo di chemioterapia. I nostri 007 erano erano già certi che si trattava proprio di Matteo Messina Denaro. Lo avevano infatti filmato, spiegano gli investigatori, in una precedente visita oculistica e avevano capito che non di Bonafede si trattava, ma del boss ricercato. E avevano anche verificato che nelle date delle precedenti chemio il vero Bonafede si trovava lontano dalla clinica. Quindi, cosa decidono di fare? Semplice. Decidono di arrestare il padrino della mafia proprio in clinica, in mezzo a decine e decine tra pazienti e dipendenti della struttura sanitaria. Mettendo a rischio tanta gente, nel caso il boss o i suoi probabili accompagnatori avessero tentato una resistenza armata. Un latitante che si sente in trappola avrebbe potuto estrarre un'arma e puntarla alla tempia di un paziente a caso, per esempio il vicino di coda, poi asserragliarsi in una stanza, creando una situazione di pericolo enorme. Fortunatamente non si è sparato un colpo, ma loro, gli investigatori, come facevano a saperlo con certezza? E che necessità c'era poi di ammanettarlo in clinica, se non quella di condurre un'azione scenografica sotto gli occhi di molti testimoni? Bastava attendere l'uscita del paziente e bloccarlo quando era in auto, in una strada fuori città, messa in sicurezza da un congruo spiegamento di forze.
L'impressione è che le cose siano andate diversamente. L'impressione è che gli investigatori non sapessero il 16 gennaio che il latitante si nascondeva dietro al nome di Andrea Bonafede. Sapevano solo che quella mattina si sarebbe presentato in quella determinata clinica di Palermo. Si sono appostati e tramite le telecamere hanno individuato il loro bersaglio. Quindi sono intervenuti subito per impedire che si dileguasse. Solo questo spiega tante stranezze e ritardi. Ma perché gli investigatori non possono dirlo? Perché se lo dicessero, dovrebbero anche spiegare chi gli ha detto della presenza di Messina Denaro in clinica, se non ne conoscevano la falsa identità. Già. Chi può essere stato?
Perché catturarlo subito invece di sgominare la sua rete?
A dirla tutta: che necessità c'era di arrestarlo subito? Se l'obiettivo era scoprire di quali coperture ha goduto e dove nasconde i suoi archivi e con chi continua a fare affari, non sarebbe stato meglio aspettarlo al varco, imbottire auto, telefoni e covi di telecamere e microspie, registrare ogni respiro del capo della mafia per una o due settimane? Invece niente. Tant'è che oggi abbiamo nelle mani solo un autista, un prestanome e un medico compiacente (che non sono nemmeno stati arrestati ma indagati a piede libero). E un covo in cui non c'è niente di interessante dal punto di vista investigativo. Pulito. Nessuna traccia del famoso archivio di Riina fatto sparire nelle ore successive alla cattura del vecchio padrino da un covo che misteriosamente nel 1993 fu lasciato sguarnito per un'intera giornata. Anche lì si parlò di trattativa, di un arresto combinato, e si sospettò che chi permise la cattura di Riina lo fece in cambio dell'archivio segreto del padrino e della propria personale impunità per qualche decennio futuro. Sembra la storia di Matteo Messina Denaro. Ma questa è dietrologia, complottismo. Si spera.
Anche nel caso della "cattura" di Messina Denaro, l'ultimo padrino della mafia, si è parlato di un arresto "combinato". Naturalmente l'ipotesi è stata respinta con sdegno dagli investigatori e dal ministro dell'Interno in persona. Solo che la cosa davvero incredibile, senza precedenti nella storia, è che il sospetto di un arresto concordato, di una trattativa segreta, non è stato avanzato dopo la cattura di Matteo Messina Denaro: no, è stato proclamato in televisione ben due mesi prima. Una specie di profezia.
La profezia di Baiardo e l'ergastolo ostativo
Il 5 novembre 2022 su La7 va in onda una puntata speciale di "Non è l'arena". Il conduttore Massimo Giletti intervista un collaboratore di giustizia, il siculo-piemontese Salvatore Baiardo, personaggio controverso, legato da sempre ai fratelli Graviano, sodali di Messina Denaro e di Riina, condannati all'ergastolo, tra le altre cose, per l'omicidio del prete antimafia don Pino Puglisi e per le stragi in cui morirono Falcone e Borsellino. Baiardo in tv parla di ergastolo ostativo, cioè l'ergastolo previsto per i mafiosi che non si sono pentiti, che impedisce la concessione di benefici, permessi premio, semilibertà eccetera, di cui invece godono gli atri ergastolani dopo 26 anni di detenzione. Una misura che la Consulta ha dichiarato incostituzionale e che l'attuale Parlamento, da poco insediatosi, deve regolamentare con una nuova legge.
Baiardo si augura che questi ergastolani possano presto tornare ad abbracciare i propri familiari. Giletti dubita che possa succedere. Allora Baiardo si lancia in un'ipotesi. «E immaginiamo che arrivi un regalino? Che magari, presumiamo, che un Matteo Messina Denaro sia molto malato e faccia una trattativa per consegnarsi lui stesso per fare un arresto clamoroso? Così, arrestando lui, possa uscire qualcuno che ha l'ergastolo ostativo senza che si faccia troppo clamore? Sarebbe un fiore all'occhiello per il Governo, un bel regalino». Giletti lo incalza: intende dire che Messina Denaro è gravemente malato? E Baiardo conferma. Intende dire che sarebbe disposto a trattare il suo arresto? E Baiardo conferma. Vuole dunque dire che tra Stato e mafia ci fu una trattativa per la cattura di Riina e questa trattativa è ancora in corso? «Non si è mai interrotta», risponde Baiardo. E quando potrebbe avvenire questa cattura concordata?, chiede Giletti. Baiardo risponde evasivo: «Ma sa, Giletti, ci sono delle date che parlano».
Le date che parlano: l'arresto nell'anniversario della cattura di Riina
Una affermazione incomprensibile il 5 novembre 2022: «Date che parlano». Fatto sta che Messina Denaro verrà "catturato" il 16 gennaio 2023. E Totò Riina era stato "catturato" il 15 gennaio 1993. Esattamente trenta anni prima. «Ci sono delle date che parlano». L'oncologo che aveva in cura Messina Denaro ha detto a "Repubblica": «È incredibile la coincidenza, quell'intervista è andata in onda pochi giorni dopo che avevamo comunicato al paziente l'esito degli accertamenti che davano un quadro aggravato della sua malattia». In sostanza, pochi giorni prima del 5 novembre il boss aveva appreso che il suo tumore al colon aveva generato metastasi al fegato e che la situazione stava peggiorando, per cui bisognava subito cambiare tipo di chemioterapia. Una specie di condanna a morte. Quel tipo di tumori ha una speranza di sopravvivenza piuttosto breve, mediamente. Come faceva Baiardo ad esserne a conoscenza? Solo lo stesso Messina Denaro o qualcuno a lui molto vicino poteva dirglielo.
Ma facciamo un ragionamento. Se io fossi, come è Baiardo, uno che non ha più niente a che fare con la mafia, che si è rifatto una vita pulita e se ne sta tranquillo a fare il gelataio in Piemonte. Beh, anche se venissi a sapere cose di mafia, o per assurdo della grave malattia del padrino latitante o, peggio ancora, di una trattativa in corso tra il suddetto padrino e i servizi segreti, mi salterebbe mai in mente di andare a parlarne in televisione? A me no, e credo nemmeno a qualsiasi persona sana di mente. Quindi la domanda da porsi è: perché Baiardo va a dire quelle cose in tv da Giletti?
La profezia di Baiardo è un invito allo Stato a trattare la resa del boss?
L'unica risposta plausibile, a meno di non voler considerare Baiardo un pazzo suicida, è la seguente: la trattativa di cui parla Baiardo il 5 novembre non esisteva affatto. Ma qualcuno voleva avviarla. Questo qualcuno manda Baiardo in tv a lanciare l'esca, proprio per far aprire la trattativa. Questo qualcuno potrebbe essere proprio Matteo Messina Denaro. O, in alternativa, potrebbero essere stati altri mafiosi che, allo stesso tempo, lanciano un messaggio a Matteo Messina Denaro. Messaggio che potrebbe suonare così: arrenditi allo Stato in cambio di favori per noi carcerati, tanto hai poco da vivere, e noi ti assicuriamo in cambio tutela per la tua famiglia e per i tuoi tesori nascosti.
Ora, immaginate le facce dei vertici dei servizi segreti e degli investigatori che da anni danno la caccia a Matteo Messina Denaro quando vedono l'intervista di Baiardo in tv. Cosa pensate che facciano il giorno dopo? Il minimo è presentarsi da Baiardo per chiedere conto delle sue affermazioni. Ed è proprio quello che Baiardo si aspetta che accada. E da lì...
Non siamo soliti evocare complotti e non ci accodiamo alle schiere dei complottisti "sempre e ovunque". Ma c'è un fatto: e il fatto è che la profezia di Baiardo si è avverata puntualmente. Mentre le spiegazioni degli investigatori su come siano arrivati a scovare Matteo Messina Denaro fanno acqua da tutte le parti.
Resta da vedere cosa accadrà ora agli ergastoli ostativi.