di Vincenzo Vita
"Dopo molto (troppo) tempo, i cosiddetti Over The Top non sono più intoccabili". Certamente, il quadro normativo europeo ha cambiato di segno. I due recenti provvedimenti – Digital Services Act (DSA) e Digital Market Act (DMA)- hanno chiuso una lunga afasia legislativa in merito ai nuovi prepotenti del capitalismo delle piattaforme. Gli oligopoli in questione, peraltro tassati in modo irrisorio, godevano di uno status paradossale. Dotate di poteri enormi, le grandi società del Web ricche e popolate da milioni di utenti attraversavano impunemente le maglie di un diritto pensato nell'età analogica e scritto da pur illustri giuristi immersi in una cultura ormai superata.
Paradossalmente, una piccola impresa colpevole di violare magari venialmente il diritto d'autore correva rischi assai seri, mentre i padroni veri dell'infosfera erano sollevati da qualsiasi responsabilità. Il loro rango rimaneva quello di asettici e irresponsabili trasportatori.
Ora il vento sta facendo il suo giro e – finalmente- si riconosce la realtà dei fatti. Se già nell'epoca di McLuhan il mezzo era il messaggio, nella stagione digitale il messaggio sussiste in quanto è veicolato da un reticolo diffusivo che apre e chiude i rubinetti a suo piacimento.
Inoltre, il ricorso divenuto normale agli algoritmi e all'intelligenza artificiale consegna a chi sta nella cabina di regia facoltà di controllo sul traffico delle informazioni e dei dati inedite e inquietanti.
Ecco perché ci si accorge, e chissà se non è troppo tardi, che i contenuti trasmessi appartengono alla fisiologia identitaria dei gruppi sovranazionali, che non esisterebbero senza una simile economia predatoria.
Qualcosa si muove e l'autorità per le garanzie nelle comunicazioni sembra uscire dal torpore. All'inizio di agosto l'Agcom multò Google per aver permesso la pubblicità del gioco d'azzardo, in violazione del cd decreto dignità.
Da ultimo, un omologo intervento coercitivo ha colpito l'impero degli imperi, ovvero la holding Meta, da cui derivano Facebook, Instagram e Whatsapp. Vero è che valori borsistici e profitti subiscono i colpi di una difficoltà generale dovuta soprattutto alla guerra e alla pandemia. Tuttavia, è prematuro parlare di crisi in senso proprio. Infatti, nella rete si svolgono costantemente affari che ben poco hanno a che spartire con le missioni originarie delle tecniche di Internet.
Il caso recentissimo della evocata delibera n.422 del 14 dicembre 2022 varata dall'Agcom contro la casa madre Meta per la violazione del citato decreto del luglio 2018 sta a testimoniare che il business corre sul filo e nel cielo. Parliamo del gioco d'azzardo, la cui pubblicità è ascritta al novero dei peccati mortali. La violazione di un simile sacrosanto divieto da parte di un social che dispone di un pubblico di quasi tre miliardi di persone non è un puro caso o una semplice devianza. Sta a significare che dentro il mondo digitale vi sono vere e proprie patologie, buchi neri di cui il gioco d'azzardo è solo un'avvisaglia.
La delibera dell'Agcom è severa e multa pesantemente il gruppo che ha la sede legale nell'accogliente Irlanda. 750.000 euro, forse, sono solo un graffio per Meta, ma un graffio del genere fa tendenza.
Prima Google, poi Meta, per non dimenticare gli obblighi contrattuali imposti ad Amazon, dimostrano che il dogma dell'infallibilità loro attribuito dalla divinità pagana del mercato si sta estinguendo. Tutti giù per terra.
La delibera dell'Agcom è assai chiara e costituisce un precedente importante, fornendo criteri precisi sul necessario monitoraggio dell'attività degli Over The Top.
Si è aperta la competizione su chi rivestirà i panni previsti dall'Europa di Digital Services Coordinator per i vari paesi. Il presidente dell'Agcom Lasorella ha spiegato che l'organismo da lui diretto è il candidato naturale. Può essere legittimo aspirare ad un ruolo decisivo nel prossimo periodo. Ma serve dimostrare, però, che ci si sta attrezzando senza alcun timore di dio.