DI MATTEO FORCINITI
C'è un aspetto estremamente inquietante della vicenda che ci vede nostro malgrado protagonisti con il Comites di Montevideo e che riguarda la libertà di informazione, cosa che dovrebbe far preoccupare tutti. Votando negativamente al parere presentato da Gente d'Italia sulla richiesta dei contributi pubblici nel corso dell'ultima seduta, il Comites è riuscito a macchiarsi per la seconda volta di un grave tentativo di censura degno di un paese totalitario allergico al libero giornalismo, un diritto costituzionale che è invece garantito sia in Italia che in Uruguay. E che sará ristabilito dall'autoritá giudiziaria...
Citando a vanvera una legge sull'editoria incompresa, e non avendo neanche il coraggio di giustificare la propria scelta, questa volta Aldo Lamorte e compagni hanno voluto confondere le acque per cercare di consumare la loro vendetta personale gettando fango e discredito nel punire questo giornale e chi ci lavora. Eppure, noi ci ricordiamo bene cosa avevano affermato queste persone lo scorso anno in un parere che, almeno con un pizzico di sincerità in più, si permettevano addirittura di criticare la linea editoriale con il beneplacito dell'ambasciatore Giovanni Iannuzzi che si univa alla richiesta del bavaglio.
La maggioranza del Comites avrebbe solo dovuto rispondere a tre semplicissime domande per quello che secondo la legge è un parare "non vincolante", ovvero ininfluente: Il giornale è venduto nelle edicole? I contenuti sono scritti per più del 50% in lingua italiana? Il giornale circola e viene apprezzato dalla collettività italiana del paese?
Anziché rispondere a queste tre domande perfettamente riscontrabili si è preferito ancora una volta cercare di tappare la bocca a uno dei pochi quotidiani italiani all'estero rimasti. Il perché quest'anno non è stato spiegato ma è facilmente intuibile. Non vogliamo peccare di presunzione ma la realtà dei fatti è che Gente d'Italia non si è piegata agli ordini delle autorità di turno portando avanti un lavoro di giornalismo indipendente caratterizzato unicamente dal racconto dei fatti verso il lettore come l'etica di questa meravigliosa professione ci impone.
Gli esempi sono molteplici, vediamone rapidamente i più significativi. Fin dai suoi inizi abbiamo raccontato la vicenda dei brogli che portarono nella scorsa legislatura all'elezione del senatore Adriano Cario, il cui seggio era stato rubato a Fabio Porta (Partito Democratico) che si è visto restituito quanto gli spettava di diritto solo nella fase conclusiva del mandato. Cario venne eletto con l'Usei (Unione Sudamericana Emigrati Italiani) ma appena arrivò a Roma passò al Maie (Movimento Associativo degli Italiani all'Estero): non è una questione di partito politico bensì di dignità degli italiani all'estero la cui immagine è stata ripetutamente infagata nel corso di ogni votazione.
Da un'elezione a un'altra i brogli hanno continuato ad accompagnare il voto all'estero. Nell'ultimo appuntamento elettorale abbiamo denunciato Aldo Lamorte con il suo broglio provato in un video in Uruguay dove il protagonista si filmava mentre votava al posto di un'altra persona nello sciagurato tentativo di fare campagna elettorale per il Maie.
Nel nostro lavoro quotidiano, tra le altre cose, abbiamo messo sotto la lente d'ingrandimento l'operato dell'Ambasciata italiana di Montevideo con le eterne attese dei servizi consolari. Lo abbiamo fatto non perché siamo cattivi ma perché ce lo impone il nostro lavoro che rifiuta le marchette di diplomatici e politici a caccia di selfie e pubblicità.
Abbiamo dato voce alla comunità raccogliendo le numerose critiche sulla costruzione della nuova sede consolare costata quasi due milioni di dollari ma non per il progetto in sé quanto piuttosto per la mancanza di personale, il vero cuore dell'eterno problema dei servizi consolari. Oggi in Uruguay esiste una vera emergenza, quella delle cittadinanze negate che impedisce a tante persone di esercitare un diritto e che sta provocando un'ondata di proteste.
Abbiamo seguito da vicino il caso Ventre, l'italiano morto in circostanze misteriose dopo aver scavalcato il cancello dell'Ambasciata il primo gennaio del 2021 e sul cui caso ha trionfato l'impunità totale tanto in Italia come in Uruguay.
Abbiamo raccontato che dopo quel polverone mediatico, nel 2021, l'Ambasciata spendeva la bellezza di 15.494 dollari per ripulirsi un'immagine che era stata fortemente compromessa proprio come farebbe una qualunque azienda. L'anno seguente, invece, la propaganda della sede veniva a costare più di 7mila dollari.
Abbiamo fatto notare come il marketing e il commercio abbiano preso il sopravvento su tutto, anche sulla democrazia come dimostra il caso delle ultime elezioni: nel periodo crucuale per promuovere la partecipazione al voto le autorità diplomatiche concentravano i loro sforzi altrove su eventi privati.
Abbiamo evidenziato come la cultura italiana sia stata trasformata in privilegio con la discriminazione istituzionale: l'Ambasciata che regalava i libri alla Scuola Italiana di Montevideo (una scuola d'élite) dimenticando le associazioni presenti sul territorio che stanno con l'acqua alla gola cercando di sopravvivere.
Abbiamo raccontato le anomalie che ci sono state in occasione delle ultime elezioni del Comites con mille voti scomparsi, un quarto del totale degli elettori che si erano registrati per votare. Abbiamo raccontato tutte le porcate commesse da questo Comites che in poco più di un anno può vatarsi di aver avuto: un presidente illegale per tre mesi, due membri cooptati senza alcun merito, un golpe linguistico per imporre lo spagnolo in un organismo italiano, due membri (almeno) illegittimi per le loro cariche istituzionali in Uruguay.
Tutto questo e altro ancora evidentemente ha dato fastidio. Ma allora cosa dovrebbe fare un giornale? Evitare di raccontare i fatti scomodi e fare propaganda per le istituzioni? Essere al servizio dell'ambasciatore e dei rappresentanti di turno per dire come sono belli e come sono bravi? Ricevere dei contributi pubblici implica rinunciare all'indipendenza che caratterizza questa professione?
Tante altre inchieste, tante altre storie, troveranno in futuro ampio spazio su questo giornale per amore della verità e anche a costo di fare arrabbiare qualcuno. Non è una minaccia, è una promessa.
Noi non chiudiamo, lo ha ribadito ll'editore a gran voce.....ci penseranno a giudici a ristabilire la veritá....in sede civille e di risarcimento danni e in sede penale per i falsi nin atto pubblicco commessi dai singoli.