Dal profondo Sud di Locri, provincia di Reggio Calabria, aveva fatto buoni affari tra il Piemonte e la Lombardia, al punto da diventare il proprietario di una squadra di calcio, il Novara, e da acquistare imprese e terreni in un'area industriale del Torinese. Ma le fortune economiche di Maurizio Rullo, 64 anni, nascondevano molte ombre, secondo i carabinieri del Noe (Nucleo operativo ecologico) di Milano che qualche giorno fa lo hanno arrestato insieme ad altre 17 persone su ordine del tribunale del capoluogo lombardo, in una maxi-operazione denominata "Black steel". Contestualmente è scattato un sequestro di beni per il valore complessivo di 90 milioni di euro. Ancora una volta a finire nel mirino degli inquirenti è il traffico e riciclaggio di rifiuti pericolosi, uno dei bubboni ecologici ed economici più pericolosi degli ultimi decenni, terreno in cui spesso le infiltrazioni delle cosche sono estese e profonde, anche se nel caso di Maurizio Rullo non è contestata l'accusa di associazione mafiosa. Resta il fatto che la nuova frontiera del crimine passa attraverso i rifiuti, specialmente quelli industriali, un business che oltre ad inquinare l'economia legale inquina, e pesantemente, l'ambiente e il futuro dei nostri figli.
In concreto, agli indagati dell'operazione "Black steel" sono contestati i reati di associazione a delinquere, traffico illecito di rifiuti, riciclaggio, autoriciclaggio, dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture false, emissione di fatture per operazioni inesistenti. Il meccanismo, secondo l'accusa, era collaudato. L'associazione comprava, più volte e sempre in nero, sul mercato illegale, ingenti quantitativi di rifiuti speciali costituiti da rottami ferrosi in tutt'Italia, che poi declassificava in "non rifiuti", sempre attraverso certificazioni false, facendoli risultare trattati in impianti dell'organizzazione, per poi rivenderli ad acciaierie, fonderie e a commercianti di rottami. Nel complesso, tra il 2017 e il 2021, secondo gli inquirenti, sono state acquistate 165mila tonnellate di rifiuti. Il gruppo avrebbe inoltre gestito rifiuti speciali anche pericolosi facendoli passare per materiali innocui, inviandoli in discariche o impianti non autorizzati all'estero.
Per coprire l'attività illegale, il gruppo emetteva fatture false dalle quali risultava che i rottami erano acquistati all'estero da società create ad hoc e intestate a prestanome. I guadagni ottenuti con la vendita del ferrame e di altri materiali, finivano su conti di società italiane, tedesche e ungheresi e venivano poi riciclati, nell'attività stessa, ma non solo. Ad esempio, secondo le indagini, con quei guadagni erano state acquistate un'ex area industriale nel Torinese e l'80% della società "Novara Calcio 1908". Non si tratta dell'attuale società che gestisce la squadra del Novara (la "Novara Football Club") militante in serie C, ma di quella che l'ha preceduta, finita poi nel 2021 in fallimento.
Le indagini sul vorticoso giro di rifiuti sono state così estese e complesse da coinvolgere, oltre alla procura di Milano e ai carabinieri lombardi, anche la procura di Reggio Calabria e le forze dell'ordine tedesche, in particolare di Monaco di Baviera, sotto il coordinamento di Eurojust e dell'Europol.
Per fare un esempio, sul fronte del riciclaggio dei proventi, il giro di denaro (quasi 100 milioni di euro) transitava sui conti di società italiane ed estere (tedesche e ungheresi) per essere "ripulito" e reinvestito in ulteriori attività, prevalentemente illecite. Di questo denaro, oltre 65 milioni, dopo essere stati bonificati sui conti della società tedesca "Tm Commodities Gmbh", riconducibile a Maurizio Rullo, sono stati, la gran parte nell'arco di soli due anni, prelevati in contanti dai conti stessi con una pluralità di operazioni, alcune anche per importi pari a quasi un milione di euro, e reimmessi in circuiti economici per lo più illegali.
Ma l'origine dell'affare era nel Nord Italia. In particolare, in un'azienda di recupero, trattamento e commercio di metalli ferrosi con sede legale in Milano e sedi operative in Cressa (Novara), Paderno Dugnano (Milano) e Dairago (Milano), ed una società con sede legale a Torino, che, secondo quanto ricostruito dagli investigatori, si sarebbe ripetutamente approvvigionata di ingenti quantitativi di rifiuti ferrosi "in nero", per un ammontare di 165mila tonnellate circa, da altre società operanti nel campo del recupero di rottami o direttamente dal mercato clandestino, da soggetti non autorizzati o di provenienza furtiva, sul territorio nazionale. Si trattava però di "ripulire" la merce, per poter reimmettere tali rifiuti sul mercato legale e rivenderli alle acciaierie. Per ottenere questo risultato, l'organizzazione avrebbe fatto risultare di averli importati dalla Germania, acquistandoli da una società tedesca sempre riconducibile a Maurizio Rullo, ma che in realtà sarebbe stata del tutto inoperativa e appositamente costituita (quella che in gergo si chiama una società cartiera). A fronte di false fatture emesse dalla società tedesca, l'impresa italiana capofila del traffico avrebbe eseguito mediante bonifici bancari versamenti di consistenti somme di denaro (circa 90 milioni di euro), apparentemente a titolo di corrispettivo per gli acquisti (fittizi) dei rifiuti ferrosi. Rullo, secondo l'accusa, unitamente ad altri affiliati avrebbe poi fatto rientrare in Italia le somme versate, dopo aver effettuato prelievi in contanti, anche fino a 900mila euro al giorno, presso i conti correnti in Germania o dopo averle "girate" su altri conti correnti di altre società di logistica ritenute fittizie, anche in altri Paesi, riconducibili sempre all'organizzazione. Riottenuta la disponibilità di quanto bonificato, le somme venivano reimpiegate nel traffico illecito di rifiuti o, una volta "ripulite", reinvestite in altre attività. Insomma, i soldi andavano all'estero come pagamento di merce mai acquistata e ritornavano in Italia o in contanti o come pagamento di servizi di trasporti e logistica mai utilizzati. Così i soldi ritornavano al mittente e il materiale ferroso illecitamente acquisito aveva finalmente una bolla di consegna che lo rendeva di lecita provenienza, e quindi "ripulito".
L'ulteriore passaggio era il trattamento dei rifiuti ferrosi. L'organizzazione simulava che fossero stati sottoposti a operazioni di recupero che gli avessero fatto perdere la qualifica di rifiuti. In realtà, secondo quanto emerge dalle indagini, per ridurre ancora notevolmente i costi e massimizzare i profitti illeciti, tali operazioni non sarebbero mai avvenute e i rifiuti sarebbero stati trasformati solo documentalmente in "non rifiuti" (end of waste) attraverso la compilazione fraudolenta di fittizie dichiarazioni di conformità e di documenti di trasporto ideologicamente falsi, emessi da società facenti capo all'organizzazione che non avrebbero eseguito alcun trattamento, ma si sarebbero limitate a simularlo.
E questo sarebbe avvenuto anche su rifiuti speciali di natura pericolosa, per poterli avviare illecitamente presso discariche o impianti non autorizzati all'estero. Ad esempio, tra gennaio 2020 e marzo 2021, circa 6.500 tonnellate di rifiuti provenienti dal trattamento e recupero di cavi impregnati di olio, di catrame di carbone o di altre sostanze pericolose sarebbero stati ritirati da un impianto di trattamento rifiuti situato nel comune di Arcisate (Varese) e classificati fraudolentemente come "non pericolosi" (plastica e gomma), senza aver eseguito le prescritte analisi ovvero utilizzando certificati d'analisi falsi. Il materiale finiva poi in una discarica nella Repubblica Ceca.