di Ottorino Gurgo
Probabilmente il dato di maggior rilievo delle recenti elezioni regionali è costituito dall'astensionismo. Gli italiani non vanno più a votare. Ê questo un fenomeno che va assumendo dimensioni sempre maggiori e al quale è indispensabile che venga posto rimedio.
In realtà il distacco tra la società e le istituzioni ha dimensioni crescenti. Si può dire che ad ogni elezione il numero dei votanti diminuisca rispetto a quello delle elezioni precedenti e se è vero, come è incontestabilmente vero, che in una democrazia il momento elettorale è quello di maggior livello, non possiamo non concludere che la nostra è una democrazia malata nella quale società e istituzioni parlano lingue diverse.
Ecco, dunque, emergere in modo inequivocabile che, quando si parla delle necessità di una riforma delle istituzioni per eliminare il gap che le separa dalla società, non si compie un'esercitazione meramente intellettualistica, ma si entra nel vivo di quello che dovrebbe essere, per la classe politica, il più importante dei problemi.
Ma non è così
Pressati dalle questioni economiche, certamente non irrilevanti, e paralizzati dai contrasti interni, centrodestra e centrosinistra sembrano aver dimenticato le riforme delle quali pure avevano insistentemente parlato durante tutto il corso della campagna elettorale, non rendendosi conto che il riassetto istituzionale dovrebbe aver la preminenza su qualsiasi altra questione.
Eppure il centrosinistra non può non aver consapevolezza che una forte azione riformatrice è forse l'unica arma della quale potrebbe valersi per tentare una risalita che, dopo le recenti batoste elettorali si presenta quanto mai difficile e il centrodestra dovrebbe riuscire - cosa alla quale Giorgia Meloni fortemente aspira - a far sì che il suo governo lasci un segno profondo nella vita del paese, la strada delle riforme è imprescindibile.
Entrambi gli schieramenti, tuttavia, preferiscono navigare a vista, quasi bloccati dalla paura.
Matteo Renzi, che pure era straordinariamente riuscito a completare il suo progetto di riforma e a farlo approvare dal Parlamento, proprio per questa riforma, dopo la bocciatura del voto popolare, si è "bruciato" costretto ad abbandonare il governo, la segreteria del partito e poi il partito stesso e tuttora continua ad essere oggetto di critica dall'interno del Pd; critica aggravatasi con le gestioni di Nicola Zingaretti prima e di Enrico Letta poi.
L'Italia rischia, dunque, di restare al palo, con una carta costituzionale splendida nei principi che enuncia, ma probabilmente obsoleta nella pratica attuazione di questi principi.
Ė lecito chiedersi, perciò, se ci sia qualcuno disposto ad accettare la sfida delle riforme. Al momento non sembra, ma speriamo sempre di essere smentiti.
Ottorino Gurgo