Franco Esposito
Quando fu ucciso aveva cinquantatré anni. Ammazzato all'Idroscalo di Ostia, il 2 novembre 1975, attirato in una trappola per recuperare le pellicole del film "Salò". É questa l'ultima ipotesi sul delitto che rappresenta tuttora uno dei misteri d'Italia. L'assassinio di Pierpaolo Pasolini, regista, attore, scrittore, poeta, rappresentante di spicco della cultura in quell'epoca così controversa della storia d'Italia.
"Riaprite l'indagine", è la richiesta già depositata in Procura dall'avvocato Stefano Maccioni, a nome del regista Davide Grieco, che al legale ha consegnato un film su Pierpaolo Pasolini dello sceneggiatore Giovanni Giovannetti.
Della morte di Pasolini si dichiarò colpevole Pino Pelosi, "ragazzo di vita". Secondo il presunto autore del delitto, l'omicidio sarebbe avvenuto in seguito alla pretesa di Pasolini di un rapporto sessuale. Ma l'ammissione di colpevolezza di Pelosi ha dato vita a mezzo secolo di misteri. Un intreccio anche di ipotesi, momenti all'insegna della più robusta dietrologia e di inutili tentativi di scoprire la verità.
Un'inchiesta di Oriana Fallaci rivelò che all'uccisione di Pasolini avrebbero partecipato altre due persone. Pelosi, anni dopo, ritrattò. Negò di essere l'esecutore materiale del delitto. Ma nel tempo è affiorata anche un'altra ipotesi: l'assassinio all'Idroscalo di Ostia sarebbe legato al libro "Petrolio", nel quale Pasolini indagava sui "legami tra lo stragismo italiano e le trame delle aziende petrolifere". Qualcosa che avesse a che fare con il caso dell'uccisione di Mattei.
In occasione della perizia immediata sul luogo del delitto furono rinvenute tracce di materiale genetico. E sul maglione di Pelosi fu rilevato il DNA di due persone diverse, oltre a quello di Pierpaolo Pasolini. Spiega ora l'avvocato Maccioni: "Delle circa trenta tracce riscontrate ora ci focalizziamo su tre Dna in particolare, che dovranno essere confrontati con alcune persone". Il legale tira dentro anche Maurizio Abbatino, pentito storico della banda della Magliana, conosciuto negli ambienti della malavita come "Crispino". Una presenza abituale nella ex paranza di rapinatori e trafficanti a loro volta onnipresenti in tutti i grandi segreti italiani.
Interrogato dalla commissione antimafia, Crispino avrebbe detto molto ma avrebbe anche taciuto. Ribadita da parte sua la non appartenenza al furto di alcune pizze cinematografiche. Quelle di "Salò, le 120 giornate di Sodoma", uno dei film più scomodi e contestati di Pasolini. Pizze che furono effettivamente rubate e poi fatte ritrovare. La tesi é: "Pasolini fu attirato all'Idroscalo, dove gli assassini erano in attesa e in agguato, con la prospettiva di recuperare le pizze sparite". Ma anche di questa storia si parlò fin dall'inizio delle indagini.
Se le cose sono così messe, si fa fatica a capire di quali novità parli l'avvocato Maccioni. Mentre esiste una verità codificata, per così dire congelata dalla sentenza d'appello. Esattamente tranchant. E riassumibile in pochissime parole: Pelosi unico assassino. Lui è stato condannato a dieci anni, 9 mesi e 10 giorni "in concorso con ignoti". Vittoria piena della parte civile, gli avvocati Guido Calvi e Nino Marazzita.
Allora c'è da chiedersi: sarà questa la volta buona per scoprire la verità vera del mistero Pasolini? Pelosi è morto nel 2017, dopo aver sfornato a getto continuo ogni versione possibile e immaginabile. Del tipo, "sono stato io", "io non c'ero", "c'ero ma non ho partecipato", "con me c'erano i fratelli Borsellino". Due malavitosi fascisti morti di Aids. I riscontri? Nessuno.
Sembra comunque abbastanza evidente che "Pino la Rana", come lo chiamavano gli amici per quegli occhi da rospo, non fosse all'Idroscalo di Ostia nel momento dell'uccisione di Pasolini. La circostanza è provata dall'assoluta assenza di macchie di sangue addosso. Sul posto furono trovate le impronte di altre persone, testimoni poi rintracciati dai giornalisti. Dichiararono: "abbiamo assistito a una aggressione di gruppo". Sul corpo di Pasolini c'erano tracce di colpi vibrati con catene e oggetti metallici mai rinvenuti.
Ma tant'è: la richiesta dell'avvocato Stefano Maccioni ha riportato pruriginosa curiosità davanti al Palazzo di Giustizia di Roma. Dove si torna a parlare di personaggi come Johnny lo Zingaro, pluriomicida all'ergastolo, amico di Pino La Rana, e di Ubaldo De Angelis. Il titolare del bar di via Chiabrera, quartier generale della Banda della Magliana. Ma è altrove che questo impenetrabile mistero italiano – l'assassinio di Pierpaolo Pasolini - incontra libero sfogo e l'abbraccio con una nuova indagine e nuovi segreti. E con l'incongruenza sempiterna. Come la cena al ristorante "Biondo Tevere", dove Pasolini ebbe come ospite Pelosi. Giovane, biondo, alto, vestito bene, l'ospite? Proprio così, quindi completamente diverso da Pino La Rana.
Probabilità quantomeno che la Procura accolga l'istanza? Anche se dovesse accadere, sarà comunque difficile, problematico addirittura, arrivare a una verità diversa. Siamo quasi nell'ambito dell'impossibile. Le tracce del Dna potrebbero essere di chiunque, dovendo considerare che nel 1975 il test ancora non esisteva. E poliziotti e giornalisti potevano impunemente toccare tutto. Anche tracce di saliva e mozziconi di sigaretta.
Ma la domanda finale non può che essere questa: si trattò di un complotto diabolico o di una delle tante rapine agli omosessuali, all'epoca quasi di routine? Come pure non sembra godere di grande credito l'ipotesi della trappola organizzata per zittire una voce scomoda. Semplicemente perché un'operazione così complessa non poteva essere commissionata a un giovane spaesato e spaventato.