di Matteo Forciniti
Si parla spesso di crisi del calcio italiano, si sprecano lunghe riflessioni e proposte all'interno di un dibattito che sembra non finire mai. Eppure, ieri in conferenza stampa, il commissario tecnico Roberto Mancini ha espresso un concetto semplicissimo ma troppo spesso dimenticato per descrivere questa crisi che è diventata tragedia nazionale con le ultime due qualificazioni consecutive mancate ai mondiali, una ferita ancora aperta. "In Italia nessun bambino gioca più per strada. Noi giocavamo 3-4 ore per strada e poi andavamo ad allenarci, oggi questo non accade più. Non è un caso se giocatori nascono ancora in quei Paesi, come Uruguay, Argentina o Brasile, dove si gioca ancora molto per strada" ha affermato durante il raduno a Coverciano prima di iniziare il cammino che porterà (se va bene) ad Euro 2024.
Non occorre essere un esperto dell'argomento per accorgersi che quello che ha detto Mancini rappresenta la pura, cruda e amarissima realtà sul fatto che l'Italia non riesca più a sfornare campioni di un certo livello come succedeva in passato dato che il gioco in strada resta l'unico vero laboratorio dove poter sviluppare liberamente il talento da autodidatta senza alcun controllo. Da tempo -a parte pochissime eccezioni, spesso nelle periferie- nell'Europa ricca e benestante giocare in strada è diventato ormai una triste anomalia, ancor prima dell'avvento della pandemia il panorama era già decisamente desolante.
Come ci ha ricordato il ct della nazionale, in Sud America, invece, il tempo sembra essersi fermato e questa sana abitudine è ancora assai diffusa come in Uruguay, un autentico miracolo calcistico con tre milioni di abitanti e una fabbrica continua di talenti.
Chi vive a Montevideo lo sa bene: la scena pomeridiana più frequente durante tutto l'anno è vedere i bambini correre felicemente dietro a un pallone. Poco importa se fa freddo o caldo, l'unica cosa che conta è riuscire a stare insieme per fare una partita e condividere un momento magico dove poter far esplodere l'astuzia e la genialità di fronte agli imprevisti che il contesto offre. Certo anche Montevideo è pieno di scuole calcio, molti abitanti della città si lamentano che in alcuni quartieri questa abitudine si sta perdendo rispetto al passato ma basta guardare un po' in giro per capire che il gioco in strada resta indubbiamente molto più diffuso che altrove.
C'è forse un aspetto determinante che contribuisce a questa tendenza inarrestabile: l'enorme quantità di spazi verdi per una città in crescita che non rinuncia alla natura. Alla base c'è un concetto molto diverso di utilizzo dello spazio pubblico pieno di parchi in quasi ogni angolo della città. Di questo clima ovviamente ne giova anche il calcio che resta uno dei pochi ambiti della società dove le classi sociali sono capaci di mischiarsi.
Ma perché in Italia negli ultimi anni si è smesso di giocare a calcio in strada? Difficile dirlo anche se qualche indizio ci potrebbe essere.
Secondo uno studio realizzato lo scorso febbraio da Swg per Italian Tech e Telefono Azzuro, tre quarti dei bambini tra i 6 e i 9 anni in Italia utilizzano già il cellulare, mentre nella fascia di età 10-13 anni l'uso abituale arriva al 96%. Ma ancora più preoccupante è il dato che un bambino su tre dispone del telefono cellulare in totale autonomia rispetto ai genitori, ci dice questo studio. Che cosa sia successo al calcio italiano resta un grande mistero e in attesa di aspettare l'arrivo di un nuovo talento torniamo a uscire, torniamo in strada come in Sud America, come in Uruguay.