Gente d'Italia

I soldi dell’ospedale italiano finiti in cene a Maracaibo

DI THOMAS MACKINSON

Dopo tre anni l'Hospital Italiano è solo un ufficio virtuale che offre cure a pagamento nelle costose cliniche private di Caracas. Dietro c'è una fondazione che l'ambasciata d'Italia ha appena rinnegato, dopo un colpo di mano sugli statuti e la scoperta che le sottoscrizioni finivano in cene elettorali. Al vertice c'è "Don Ugo", al secolo Ugo Di Martino, indicato come riferimento del faccendiere-latitante Aldo Miccichè e dei brogli sudamericani in Venezuela. È una brutta storia questa dell'ospedale fantasma di Caracas al cui fondo riemergono antichi potentati locali che non s'accontentano più di condizionare il voto degli italiani all'estero ma puntano una merce ancora più preziosa: la salute di migliaia di connazionali alle prese con ospedali pubblici senza medicine, luce e acqua corrente.

Inizia il 1° febbraio 2020, quando una delegazione italiana arriva al Centro Italio-venezuelano di Caracas per firmare l'atto costitutivo della "Fondazione per l'ospedale italiano" che offrirà assistenza gratuita agli indigenti e servizi medici in convenzione a 150mila emigrati italiani. Alla cerimonia accorrono 3.500 connazionali, un'insegna verde con tricolore accende nei loro occhi la speranza. Il progetto prevede un appoggio ad altre strutture e poi l'acquisto di una sede propria. Si trovano 5 ambulatori al San Juan de Dios con 25 medici. "Questo ospedale è tra le cose più importanti che il governo ha fatto per gli italiani all'estero", azzardava il sottosegretario Ricardo Merlo. Tre anni dopo però dell'"hospital italiano" resta solo l'insegna: non c'è un ambulatorio, un medico e neppure un cartello in italiano. L'ambasciatore Placido Vigo il 18 marzo scorso ha ufficialmente reciso ogni rapporto con la fondazione. Riavvolge così il nastro. "Nel 2020 si era pensato di promuovere una fondazione senza scopo di lucro che consentisse ai cittadini italiani di ricevere prestazioni sanitarie in convenzione presso una struttura selezionata". A Buenos Aires funziona da molti anni. Circa 400 italo-venezuelani aderiscono e come soci fondatori danno disponibilità a un contributo di 500 dollari. L'ambasciatore nomina un Comitato promotore e un Consiglio direttivo fino alla nomina dell'assemblea dei soci. Poi succede l'imprevedibile. Il 26 ottobre 2021 il direttivo – senza avvisare nessuno – modifica lo statuto: la quota associativa sale a 3mila dollari, i soci fondatori scendono da 500 a 30. II comitato promotore e l'assemblea sono cancellati. Il Consiglio si auto nomina e fissa il termine del proprio mandato non più a due anni rinnovabili ma a cinque più cinque, cioè dieci anni: una piccola élite decide per la salute di tutti. E chi la guida? Il presidente dell'ospedale fantasma è Ugo Di Martino, una "colonna portante della comunità italiana" dicono a Caracas dove ha fondato un patronato per gli emigranti (Ita Uil) ed è stato presidente del Comitato degli italiani all'estero (Comites). Fino al dicembre 2021 presiedeva anche il coordinamento dei comitati venezuelani (Intercomites), carica per cui entra "d'ufficio" nel direttivo. Quando non viene rieletto gli subentra il figlio avvocato, a sua volta membro del Comites. Vincenzo Di Martino a Caracas amministra vari hotel ed è socio di un laboratorio di analisi del sangue, un possibile innesco della diaspora con lo Stato sull'Hospital italiano. È lui a disdire il contratto con la clinica Santa Paula con cui il Consolato Generale già operava con il proprio medico di fiducia in quattro locali in affitto. Avrebbe fatto anche di più. Antonio Iachini è un imprenditore delle costruzioni da poco eletto Consigliere generale degli italiani in Venezuela. Della fondazione era primo finanziatore e tesoriere: "Sul cellulare mi arriva una notifica della banca: qualcuno sta pagando una cena a Maracaibo con la carta della fondazione. Salta fuori che era un incontro elettorale che Vincenzo Di Martino, presidente dell'hospital, aveva gentilmente offerto usando il conto donazioni". L'ambasciatore trasalisce e congela il conto con 80mila dollari raccolti. Tenta di sventare altri illeciti e tutelare la comunità italiana dallo scandalo ma le sue richieste di revoca vanno a vuoto. Convoca nuovamente il Comitato Promotore per azzerare il direttivo che gli si rivolta contro cambiando gli statuti e nominando presidente il padre del rampollo, Ugo Di Martino. La cui storia – a quanto pare – a Caracas molti ignorano. Risale all'epoca del "senador" Luigi Pallaro, del pittoresco e inquietante carrozzone degli italiani candidati all'estero. In Venezuela le autorità italiane danno la caccia ad Aldo Miccichè, referente della cosca di Giuseppe Piromalli, dominus della piana di Gioia Tauro condannato all'ergastolo. Di Martino spunta nelle intercettazioni dalla Dda di Reggio Calabria tra il figlio del boss Antonio e l'ex faccendiere calabrese arrestato proprio a Caracas dopo una lunga latitanza. Imprenditore del petrolio in Venezuela, con la benedizione di Marcello Dell'Utri si spendeva tra mafiosi e politici per far attenuare il 41 bis cui era sottoposto il capo clan. In cambio, avrebbe garantito il voto degli italiani all'estero a Berlusconi: Di Martino, stando alle intercettazioni, era il braccio dell'operazione in Venezuela. Si riparla di lui nel 2013. Lo fa l'ex presidente della Commissione antimafia Francesco Forgione: "Ricostruendo gli affari fra Dell'Utri, il latitante Miccichè e Di Martino tutto avrei pensato, tranne di trovarlo nella lista Monti in Sudamerica. Sono gli stessi protagonisti delle schede bruciate nelle elezioni 2006. Di Martino, candidato di Mastella, poi di Berlusconi, adesso di Monti evidentemente ha un pacchetto di voti da offrire sul mercato in maniera trasversale. E questo, conoscendo la gente che gli sta attorno, non è rassicurante". Eccolo "Don Ugo", dal 18 novembre presidente dell'ospedale fantasma. Su una cosa sola concorda: "L'ospedale non esiste, non c'è niente". Per il resto "sono solo bugie, invidie, cattiverie. Non ho mai conosciuto a Dell'Utri, Miccichè sì ma politicamente". All'ex commissario antimafia Forgione, reo d'aver raccontato quei rapporti in un libro, manda a dire: "Gli avrei voluto incontrare in faccia e sputargli in un occhio, perché sono una persona per bene e non ci potria fare altra cosa e dire: 'tu non mi conosci". Ne ha anche per l'ambasciatore. "La verità è che il Ministero non ha mandato fondi per gli indigenti. Li abbiamo anticipati noi e il consolato ci deve forse 20 o 30 mila euro". Il 27 marzo da Caracas scrive una lettera alla Farnesina per replicare alla scomunica della "sua" fondazione. "L'ambasciatore – si legge – non ha competenza per giudicare il comportamento del Consiglio direttivo, non essendo previsto negli statuti" (quelli modificati ad hoc). Per questo "non è democratico", scrive l'uomo sospettato di brogli nel voto degli italiani all'estero. Che 15 anni dopo, a quanto pare, s'è preso pure il loro ospedale.

THOMAS MACKINSON

Il fattoquotidiano
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