È scaduto il tempo entro il quale l’Italia avrebbe dovuto rispondere alle perplessità della Commissione Europea sulle norme italiane che disciplinano l’Assegno Unico Universale e il Reddito di cittadinanza. Ho presentato perciò una interrogazione in Commissione Affari sociali chiedendo al Ministero del Lavoro una serie di chiarimenti.
Si ricorderà che in un mio recente comunicato avevo reso noto che la UE ha recentemente aperto due procedure di infrazione contro l’Italia in tema di Reddito di cittadinanza e di Assegno unico universale (INFR2022/4024) e (INFR2022/4113), censurando per discriminazione i requisiti di residenza richiesti dalle norme istitutive dei due benefici.
Nella mia interrogazione ho ricordato al Governo che il diritto all’Assegno Unico è vincolato alla residenza in Italia e quindi l’abrogazione dal 28 febbraio 2022 delle prestazioni familiari (assegni e detrazioni) ha penalizzato esclusivamente migliaia di contribuenti italiani residenti all’estero, pensionati e soprattutto lavoratori (i cosiddetti “non residenti Schumacher” che producono reddito in Italia per almeno il 75% del loro reddito complessivo).
Ho sottolineato che la Corte di Giustizia europea ha più volte sentenziato che le prestazioni in denaro dovute a titolo della legislazione di uno o più Stati membri non sono soggette ad alcuna riduzione, modifica, sospensione, soppressione o confisca per il solo fatto che il beneficiario o i familiari risiedono in uno Stato membro diverso da quello erogatore. Inoltre ho evidenziato che con riferimento ai contribuenti residenti in Italia i quali hanno a proprio carico familiari residenti all’estero e ai quali sono attualmente negati l’Assegno unico, le detrazioni e gli assegni familiari per i familiari residenti all’estero, la Corte di Giustizia europea ha sentenziato che (l’ultima sentenza in materia è quella riferita alla Causa n. 328/2020 del 16 giugno 2022) una persona ha diritto alle prestazioni familiari ai sensi della legislazione dello Stato membro competente, anche per i familiari che risiedono in un altro Stato membro.
Ho ricordato al Ministero del lavoro che anche l’Inps ha fatto proprie le perplessità della Commissione europea, tanto è vero che nelle Circolari n. 23 e n. 34 del 2022, l’Istituto previdenziale italiano ha sostenuto che i riflessi della normativa comunitaria e bilaterale di sicurezza sociale sulla prestazione dell’Assegno unico sono oggetto di un approfondimento specifico e che verranno fornite successive istruzioni. Purtroppo le “successive” istruzioni non sono però (almeno finora) mai state date dall’Inps.
Nella mia interrogazione pertanto ho chiesto al Governo se non ritenga necessario ripristinare le detrazioni familiari e l’ANF per i figli a carico di età inferiore ai 21 anni a favore dei contribuenti italiani “non residenti Schumacker” o prevedere in alternativa che l’AUU sia concesso a tali contribuenti che non sono tuttavia percettori di analoghe prestazioni all’estero e se, in conformità con quanto disposto da regolamenti e direttive comunitari e da numerose sentenze della Corte di Giustizia europea e alla luce delle recenti procedure di infrazione contro l’Italia da parte della Commissione europea, non si ritenga giusto che il Reddito di cittadinanza debba essere concesso anche ai cittadini italiani che rientrano in Italia a prescindere dai requisiti di residenza e non si ritenga infine che non sia legittimo e opportuno, anche a seguito della recente sentenza della Corte di Giustizia europea summenzionata, concedere le prestazioni familiari (ora negate) ai lavoratori residenti in Italia ma con nucleo familiare residente all’estero. Se il Governo italiano non chiarirà al più presto la sua posizione in queste materie e non risponderà alla messa in mora della Commissione europea il rischio che debba risponderne davanti alla Corte di Giustizia europea sarà molto concreto.