Il Ghana sta diventando “la discarica mondiale del fast fashion” ed è “sommerso dallo scarico massiccio di abiti usati provenienti dai Paesi occidentali e dall’Asia, la cui qualità sempre più scadente ne impedisce la vendita”. Lo sottolinea il sito del quotidiano Le Monde, evidenziando che nel Paese dell’Africa occidentale attivisti denunciano un “colonialismo dei rifiuti”.
“Ogni settimana arrivano in container circa 15 milioni di articoli di seconda mano di cui i consumatori europei, americani, cinesi o coreani hanno scelto di sbarazzarsi”, segnala il quotidiano francese, aggiungendo che la “maggior parte” di questi “obroni wawu”, ossia “vestiti dell’uomo bianco morto”, come vengono chiamati in lingua Twi, viene spedita a Kantamanto, nel cuore economico di Accra, la capitale del Ghana.
Paese africano ‘sommerso’ da abiti scartati per bassa qualità
“Misuriamo la quantità di microfibre presenti nell’acqua di tutti gli abiti in nylon e poliammide che finiscono sulle nostre spiagge”, ha riferito Joey Ayesu, un tecnico di laboratorio responsabile della ricerca ecologica presso la “Fondazione Or”, l’Ong che coordina questa indagine, i cui primi risultati dovrebbero essere pubblicati entro la fine dell’anno. “C’è un pericolo reale per il nostro metabolismo, se non altro perché i pesci ingeriscono queste sostanze e noi mangiamo i pesci”, ha avvertito Ayesu. Fondata da un’ex stilista americana, Liz Ricketts, l’organizzazione con sede in Ghana si batte contro la trasformazione del Paese dell’Africa occidentale nella pattumiera tessile dell’Occidente. Nel corso degli anni il Paese è diventato uno dei principali retrobottega del “fast fashion” mondiale, la moda usa e getta e di bassa qualità, subendo una moltitudine di danni.