ROMA – È scambio d’accuse tra Mosca e Kiev per l’attacco che alle prime ore del giorno ha danneggiato la diga di Nova Kakhovka sul fiume Dnipro e coinvolto anche la relativa centrale idroelettrica, strutture che alimentano la penisola di Crimea ma anche la centrale nucleare di Zaporizhzhia. Il sito si trova a una trentina di chilometri da Kherson, in territorio attualmente posto sotto il controllo dell’esercito russo.
Mentre le autorità di Kiev puntano il dito contro la Russia, Vladimir Leontiev, sindaco dell’autorità filorussa locale sul suo canale Telegram ha denunciato “attacchi multipli” da parte dell’esercito ucraino che avrebbero colpito le valvole idrauliche, provocando “un getto d’acqua incontrollabile” dalle pareti della diga, che però starebbero tenendo. Sui rischi connessi al sito nucleare di Zaporizhzhia è intervenuta l’Agenzia per l’energia atomica (Aiea), sostenendo che per il momento “non sussistono rischi immediati”, sebbene si siano “ridotti significativamente” i livelli di acqua necessari al sistema di raffreddamento dell’impianto.
16MILA CIVILI A RISCHIO
Oltre a scambiarsi accuse, le parti si stanno dando da fare anche per evacuare i civili: mentre l’agenzia russa Tass riporta del trasferimento degli abitanti di 300 case lungo il fiume, Kyiv Independent riferisce che le autorità ucraine hanno portato via 1300 persone da Kherson, città riconquistata a fine 2022, ma si stima che circa 16mila siano a rischio in caso di inondazione. Andrei Alekseïenko, a capo dell’amministrazione filorussa di Kherson, si è però detto convinto che “la situazione è completamente sotto controllo”.
Costruita nel 1956 insieme alla centrale idroelettrica di Kakhovka, la diga è costituita da un bacino che accoglie 18 chilometri cubi di acqua, all’incirca il volume del Gran Lago Salato dello Utah, negli Stati Uniti.
LA CONTROFFENSIVA ANNUNCIATA DALL’UCRAINA
L’incidente alla diga avviene dopo che il governo ucraino ha annunciato il lancio di una controffensiva per riprendere zone conquistate in questi mesi dai russi. Ieri, mentre a Kiev arrivava l’inviato di pace del Papa, il cardinal Zuppi, il ministro degli Esteri Dmitri Kuleba sosteneva che l’Ucraina “possiede armi sufficienti” per portare a termine l’offensiva e poter così aderire alla Nato. A fine maggio infatti il segretario generale dell’Alleanza Jens Stoltenberg aveva chiarito che un Paese nel pieno di una guerra “non può entrare nella Nato”. Oggi, parlando ai giornalisti, il consigliere di Zelensky Mykhailo Podoliak ha detto “L’obiettivo dei terroristi” che hanno colpito Khakovka “è evidente: creare ostacoli alle azioni offensive delle forze armate ucraine”. Quindi da Kiev sono arrivate proteste formali all’Onu per la celebrazione della giornata mondiale della lingua russa, “proprio mentre veniva dato ordine di distruggere la diga”.
Il Cremlino in una nota ha smentito “categoricamente le accuse”, sostenendo che la responsabilità “è unicamente del regime di Kiev”. Quindi ha fatto sapere che dopo una serie di colloqui bilaterali, sei paesi africani – tra cui Egitto, Sudafrica, Senegal, Zambia, Uganda e Isole Comore – sarebbero pronti a “impegnarsi nei colloqui coi presidenti Putin e Zelensy per trovare elementi per un cessate il fuoco e una pace duratura nella regione”. Ieri, mentre il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov riferiva che la Russia è disponibile a colloqui con Washington sul tema degli armamenti nucleari, Mosca tornava in una nota sulla proposta di pace giunta dall’Indonesia. Chiarendo di non aver “ricevuto i dettagli del piano”, il viceministro degli Esteri Andrey Rudenko ha detto che Mosca “accoglie con favore ogni proposta”, così come già era avvenuto per il piano di pace cinese.