Un nugolo di ragazzini sbuca dalla barca di legno, incagliata sugli scogli di una spiaggia del nord del Libano, al confine con la Siria, e porta via in pochi minuti una ventina di taniche di benzina, usate nella notte dai trafficanti di esseri umani per alimentare il motore di uno dei barchini impiegati per trasportare in acque internazionali decine di migranti libanesi, siriani e palestinesi diretti in Italia.
Soldati libanesi assistono da vicino all'operazione, alcuni a riva, altri sul gommone della guardia costiera, in attesa di affondare il barchino, adoperato nella notte dalla rete di intermediari guidati da Abu Ramez, pseudonimo di uno dei maggiori trafficanti di tutto il nord del Libano, luogo indicato dall'Organizzazione mondiale per le migrazioni (Oim) come uno dei punti di partenza più caldi di tutto il Mediterraneo orientale.
Siamo a Shaykh Zennad, a due passi dal confine con la Siria in guerra.
A poche ore dall'ennesima partenza di migranti, avvenuta nella notte, poco prima dell'alba sulla spiaggia si respira un'aria apparentemente calma. All'operazione di affondamento del barchino compiuta dall'esercito libanese assistono alcuni pescatori della zona. Tra loro c'è il nipote di Abu Ramez. Parlare col nonno non è difficile, a patto che non si riveli nulla delle sue generalità e del suo nascondiglio. Abu Ramez, un uomo sulla sessantina, è latitante da tre anni. Ma dice di aver accumulato così tante fortune, grazie al lavoro di trafficante, da esser capace di corrompere gli agenti e i militari ogni volta che vengono ad arrestarlo.
L'esercito libanese smentisce con forza ogni legame diretto e indiretto con i trafficanti locali. E affermano che la geografia dell'area rende impossibili controlli a tappeto. Ma a Bebnine, a pochi chilometri dalla spiaggia di Shaykh Zennad, i pescatori del porto non hanno dubbi nell'affermare che le partenze via mare di clandestini verso l'Italia avvengono col placet, di fatto, delle autorità locali. Abu Ramez si vanta di esser figlio di una generazione di trafficanti. "Siamo stati gente di mare. Abbiamo sempre campato trafficando via mare: merci di ogni tipo, armi durante le guerre, e da anni anche la gente che dice di aver bisogno di partire", dice all'ANSA. Ciascun viaggio costa a persona "dai 5 ai 7 mila dollari". C'è chi vende l'oro di famiglia, chi fa una colletta tra i parenti, chi vende la casa, i terreni, la propria macchina. "C'è anche chi si indebita e firma un foglio in cui mi cede le proprietà dei suoi familiari", racconta Abu Ramez, abituato a gestire telefonate da tre cellulari differenti. "Molti ragazzi collaborano con me". C'è chi prepara l'imbarcazione più piccola, quella che dalla spiaggia porta i "passeggeri" verso le barche più grande, ancorate a largo. "C'è chi pensa alla benzina", contenuta nelle stesse taniche blu portate via in gran fretta da quei ragazzini sulla spiaggia di Shaykh Zennad. "C'è chi pensa all'acqua e al cibo e c'è chi si occupa di raccogliere i pagamenti". Ciascun capo famiglia paga un "acconto" prima di partire e poi paga "il saldo" una volta arrivati nelle acque internazionali. Le operazioni si svolgono grazie a una pletora di "intermediari".
Sono loro che raccolgono le adesioni di aspiranti migranti e che ottengono, come premio, il viaggio gratuito. "Chi mi porta 10 passeggeri ha il viaggio gratuito fino all'Italia". Poi c'è chi fornisce al capitano della nave i punti Gps da seguire durante il viaggio: il "capitano" della nave, spiega Abu Ramez, è quasi sempre un migrante a cui viene insegnato come usare il telefono satellitare e il Gps. "I più bravi come capitani sono i palestinesi", del vicino campo profughi di Nahr al Bared. "Per arrivare in Italia ci vogliono di solito 7 o 8 giorni... dipende dal meteo e dagli ostacoli durante il percorso", afferma Abu Ramez. "Il punto più difficile è vicino alla Grecia, perché i greci mandano pirati mercenari ad affondare le barche, mentre l'Italia è il primo Paese che accoglie veramente".