Nel 2022 l'industria italiana è riuscita a reggere l'impatto dell'inflazione, con una crescita del fatturato nominale del 30,9% e di quello reale dello 0,6%, accompagnata da "performance decisamente positive" sul fronte della redditività, con utili cresciuti del 26,2%.
Non è andata altrettanto bene ai lavoratori che risultano "la componente maggiormente penalizzata in termini di potere d'acquisto, con una perdita stimata intorno al 22%", per effetto di un costo medio unitario del personale cresciuto solo del 2%.
Lo rileva l'Area studi Mediobanca nella sua indagine annuale sulle società industriali e terziarie italiane di grande e media dimensione, che analizza 2150 società rappresentative del il 48% del fatturato industriale.
Mediobanca confronta anche le analogie e le differenze tra il biennio 2021-2022 e quello del 1979-80, al quale bisogna risalire per incontrare trend inflattivi paragonabili a quelli attuali. Se le variazione di fatturato sono analoghe (+31,6% nel 1980 a fronte del +30,9% del 2022) quello che cambia è la difesa del potere di acquisto dei lavoratori. Grazie alla protezione degli automatismi di recupero dell'inflazione allora esistenti, nel periodo 1979-80 il costo del lavoro era cresciuto del 16,9% nonostante una flessione della pianta organica dello 0,8% mentre nel 2022 l'incremento del costo del lavoro è stato solo del 3,5%, peraltro a fronte di una crescita dell'1,7% del numero dei dipendenti.
Tornando alla marginalità delle imprese, nel 2022 il valore aggiunto del comparto industriale e del terziario è salito del 7,7%, il margine operativo netto è aumentato del 21,9% mentre l'utile lordo prima delle componenti straordinarie ha registrato una crescita del 9,6%. Il ritorno sugli investimenti (roi) è migliorato dal 6,5% al 6,9% mentre quello sul capitale (roe) dal 6,4% al 7,7%.
"Certamente - rileva Mediobanca - non appare ravvisabile un effetto negativo" dell'inflazione "sui margini che anzi, per un numero cospicuo di settori, sono migliorati nel 2022 rispetto al periodo pre-Covid".