di MARCO BENEDETTO
Il giornalismo italiano, la sua storia è un romanzo per Giovanni Valentini che agli ultimi “50 anni di informazione è disinformazione” ha dedicato il suo ultimo libro.
Il libro di Valentini (editore La Nave di Teseo) è appena uscito e prevedo che avrà un certo successo.
È scritto per i giovani che sono nella professione di giornalista da poco e per quelli che aspirano entrarvi. Servirà a aprire loro gli occhi sulla realtà del nostro mondo.
E per i più grandi, che da quelle vicende sono stati toccati o sfiorati e anche per il grande pubblico dei non addetti ai lavori che come cittadini pensanti e eleggenti considerano il giornalismo struttura portante e importante della democrazia.
Personalmente ho letto il libro di Valentini con emozione e anche commozione. Ho vissuto con lui alcuni dei momenti più intensi del romanzo. Grazie al libro ho scoperto dettagli che non conoscevo.
Il momento epico del romanzo è lo scontro fra Carlo De Benedetti e Silvio Berlusconi, culminato fra il 1989 e il 1990.
Valentini tenne con sicurezza e lealtà verso De Benedetti il timone del settimanale L’Espresso che all’epoca dirigeva. Altro che Zelensky: ci voleva l’elmetto e un bel paio di attributi per resistere in quella trincea, essendo De Benedetti spodestato e Berlusconi saldamente insediato alla presidenza della Mondadori, cui Carlo Caracciolo e Eugenio Scalfari avevano venduto per un bel po’ di miliardi di lire il controllo della società editrice. Avevano solo figlie femmine e vale il principio che si può essere di sinistra ma le donne sono altra cosa.
Quando poi Enrico Cuccia provò a spingere Caracciolo a estromettere De Benedetti, a quel tempo in un mare di guai, dalla proprietà, Caracciolo si sfilò: un po’ per lealtà verso De Benedetti, un po’ perché la superiore intelligenza gli suggeriva di considerare l’età (70), un po’ forse anche perché Cuccia era sulla linea armiamoci e partite, nel senso che aveva preparato lo schema della operazione, magistrale come sempre Mediobanca, ma soldi da Mediobanca non ce ne erano.
Conclusasi la guerra di Segrate, come fu chiamata, col ritorno al comando di De Benedetti (ma grazie al lavoro e alla genialità di Caracciolo e Corrado Passera), De Benedetti trovò il modo di ringraziare Valentini: licenziandolo.
Questo comportamento, rivisto 30 anni dopo, rende un gigante Berlusconi, che invece con i suoi è sempre stato legato. E così è, pare, anche per i figli.
Valentini rimase nel Gruppo passando a Repubblica, dove Scalfari, conoscendone capacità e lealtà, lo insediò come vice direttore.
Venne l’era di internet. Valentini cedette al richiamo della sirena sub specie Renato Soru (dieci pagine delle oltre 300 del libro sono dedicate a quella esperienza).
Quando tornò fra noi, De Benedetti ordinò a Caracciolo e me di non riassumere Valentini. Basta un tanto a pezzo, intimo.
C’è ne infischiammo allegramente.
Nel frattempo Valentini aveva sfruttato a favore di De Benedetti le sue radici baresi con Giuseppe Tatarella, allora ministro delle Poste nel primo Governo Berlusconi, ottenenedo la conferma della concessione a Ognitel, oggi Vodafone, cosa che garantì la sopravvivenza allo stesso De Benedetti.
Il resto della vicenda è nel libro
Valentini non è uscito di scena. Ha continuato finché ha potuto a scrivere per Repubblica, poi è passato al Fatto.
Non gli è bastato. Ha scritto vari libri, sia sulle ulteriori amare vicende professionali sia di puro romanzo, anche se, un po’ come Conrad, sempre partendo dalla Cronaca.
Chiude questo nuovo libro con un atto d’amore: Una vita con Barbapapà si intitola l’ultimo capitolo. Barbapapà è un soprannome è un riferimento alle origini calabresi di Scalfari che fu, si ricordi sempre, il più grande giornalista italiano di sempre: “per me fu più di un secondo padre”, confida. E sono sicuro che scrivendo al suo computer quelle parole gli occhi da settantenne gli si sono inumiditi un po’ di più.
Giovanni Valentini, Il romanzo del giornalismo italiano. Cinquant’anni di informazione e disinformazione, La nave di Teseo editore.