di MARCO BENEDETTO

Benvenuti nell’era dell’Acquario, scrive Cronaca Oggi. Durerà 20 anni profetizza Caterina Galloni. Precisa: domineranno tecnologia, intelligenza artificiale, ci saranno tante luci ma anche ombre.

Concorda il sensitivo inglese Craig Hamilton-Parker in questo video su Youtube

Per me che ho quasi 79 anni la quasi certezza di non vederne la fine ma anche la speranza di chiudere in bellezza.

Nella mente di un reduce del ‘68 scatta il ricordo di Hair, a quella musica indimenticabile e le parole…

When the moon is in the Seventh House

And Jupiter aligns with Mars

Then peace will guide the planets

And love will steer the stars

This is the dawning of the Age of Aquarius

Age of Aquarius.

Non era vero, si annunciava l’era dell’Acquario con oltre mezzo secolo di anticipo.

Ma in quegli anni di trasformazione e di fermento quelle note e quelle parole apparvero come un inno.

Il 1968 fu l’anno della fine dei Beatles (con buona pace delle femministe, quando in un sodalizio maschile si intrufola una Yoko Ono è la catastrofe).

Fu l’anno in cui un pezzo grosso della sinistra americana, il sindaco di Chicago Richard Daley fece bastonare dalla polizia gli studenti di estrema sinistra. Leggete il supremo reportage di Norman Mailer, sono 7,14 euro su Kindle, un gioiello.

Il 1968 fu l’anno della rivoluzione che portò alla Casa Bianca Richard Nixon e consacrò, a dispetto del mitico Maggio, in Francia il potere di Charles De Gaulle e della destra.

Fu l’anno che diede avvio in Italia a una deriva populista rivoluzionaria che genero gli anni di piombo, sturando il veleno dell’odio sociale e ci ha ridotto come siamo.

Arrivare a New York da Genova in quel novembre del 1968 fu per me ventitreenne neo professionista dell’Ansa una epifania.

Da noi ancora si andava a casa per pranzo con un intervallo di due ore. La era già orario continuato con lunch alla tavola calda.

C’era la guerra dei Vietnam, i ragazzi si rifugiavano in Svezia, l’FBI dava la caccia ai renitenti: un anziano cronista mi spiegò come lo raccontava.

Un capo del New York Times teorizzò: siamo un grande giornale locale, per gli abitanti della prima città del mondo. Per questo siamo il primo giornale del mondo.

Qualche anno dopo, Luigi Russo su Belfagor definì così la Stampa di Giulio De Benedetti: il giornale più avanzato d’Italia perché destinato alla classe operaia più avanzata d’Italia.

La chiave per capire la differenza fra l’Italia e l’America me la diede un bravo addetto stampa della Navigazione Italia: loro pensano con una visione continentale.  Noi facciamo un bicchiere per una penisola di pochi italiani, loro per un continente di centinaia di milioni.

L’ho sempre tenuto in mente negli anni in cui la formazione dell’Europa faceva crescere le nostre economie e il nostro benessere.

L’ho ben presente anche oggi. La potenza del mercato unito ha fatto ricchi gli italiani a dispetto del disintresse dei nostri politicanti di ieri e di oggi, ridotti a passacarte dei poteri forti francesi e tedeschi.