di MARIA VITTORIA PREST
Alzheimer, i farmaci potrebbero arrivare più velocemente nel cervello grazie a un nuovo strumento a ultrasuoni.
Alcuni scienziati hanno trovato un modo per aiutare i farmaci contro l’Alzheimer a penetrare più velocemente nel cervello, facendo temporaneamente breccia nel suo scudo protettivo.
Il nuovo esperimento è stato un primo tentativo su soli tre pazienti. Ma nei punti del cervello nei quali la nuova tecnologia è stata applicata, ha migliorato la rimozione della placca che ostruisce il cervello, marchio di fabbrica dell’Alzheimer.
Il problema è la cosiddetta barriera emato-encefalica, un rivestimento protettivo dei vasi sanguigni che impedisce a germi e altre sostanze dannose di penetrare nel cervello dal flusso sanguigno. Ma può anche bloccare i farmaci per l’Alzheimer, i tumori e altre malattie neurologiche, richiedendo dosi più elevate per periodi più lunghi perché raggiungano il loro obiettivo all’interno del cervello.
Ora gli scienziati del team del dottor Ali Rezai del Rockefeller Neuroscience Institute della West Virginia University, che ha guidato lo studio, stanno usando una tecnologia di ultrasuoni focalizzati per aprire temporaneamente dei varchi in questo scudo. Iniettano bolle microscopiche nel flusso sanguigno. Quindi, attraverso un dispositivo simile a un casco, inviano onde sonore a un’area cerebrale precisa. Gli impulsi di energia fanno vibrare le microbolle, allentando le fessure della barriera in modo che i farmaci possano entrare.
Piccoli studi precedenti hanno dimostrato che la tecnologia è in grado di praticare piccoli fori che si richiudono in 48 ore. Ora il team di Rezai ha fatto un ulteriore passo avanti, somministrando contemporaneamente un farmaco per l’Alzheimer.
Alcuni nuovi farmaci per l’Alzheimer, in commercio o in fase di sviluppo, promettono di rallentare in modo modesto il peggioramento della malattia che corrode la mente. Sono progettati per eliminare una proteina adesiva chiamata beta-amiloide che si accumula in alcune regioni del cervello. Ma richiedono infusioni endovenose ogni poche settimane per almeno 18 mesi.
“Perché non cercare di eliminare le placche in pochi mesi?”. Ha detto Rezai, che ha spiegato il motivo per cui è stato condotto lo studio proof-of-concept.
Il suo team ha somministrato a tre pazienti con Alzheimer lieve dosi mensili di uno di questi farmaci, Aduhelm, per sei mesi. Subito dopo ogni flebo, i ricercatori hanno puntato gli ultrasuoni focalizzati su una parte specifica del cervello di ciascun paziente, intasata dall’amiloide, aprendo la barriera emato-encefalica in modo che una dose maggiore del farmaco iniettata quel giorno potesse entrare in quel punto.
Le scansioni PET mostrano i livelli di amiloide dei pazienti prima e dopo i sei mesi di terapia. I ricercatori hanno riportato sul New England Journal of Medicine una riduzione delle placche del 32% circa nei punti in cui la barriera emato-encefalica è stata violata rispetto alla stessa regione sul lato opposto del cervello.
Questo studio pilota è intelligente ma troppo piccolo per trarre conclusioni, ha ammonito il dottor Eliezer Masliah del National Institute on Aging.
Tuttavia, “si tratta di dati molto interessanti e convincenti”, ha aggiunto Masliah, che non ha partecipato alla ricerca. “Apre sicuramente la porta a studi più ampi e approfonditi”.
Rezai sta per iniziare un altro piccolo test di un farmaco simile, ma meglio collaudato, chiamato Leqembi. Alla fine saranno necessari studi più ampi per capire se la combinazione di ultrasuoni focalizzati e farmaci per l’Alzheimer fa davvero la differenza per i pazienti.
Masliah ha detto che è anche importante verificare se una riduzione più rapida delle placche possa aumentare il rischio di un effetto collaterale raro ma preoccupante di questi nuovi farmaci: emorragie e gonfiori nel cervello.
L’Alzheimer non è l’unico obiettivo. Altri ricercatori stanno verificando se la violazione della barriera emato-encefalica possa consentire alla chemioterapia di raggiungere i tumori cerebrali e se sia possibile colpire altre malattie.