Arabia Saudita (Depositphotos)

di GIANLUCA PACE

Ventitré milioni di euro. Questa la cifra, raccontano le agenzie, con la quale il calcio italiano, se ancora vogliamo chiamarlo così, ha venduto qualche partitella all’Arabia Saudita. La continuano a chiamare Supercoppa italiana ma ormai è solo un set di partite venduto al migliore offerente per cercare di intascare il più possibile. Qualcuno potrebbe dire: è il mercato bellezza. A questo punto vien da chiedersi perché non si ferma il campionato e si chiede agli offerenti là fuori come cambiare un po’ tutto. Soltanto triangolari? Solo sfide a rigori mentre si legge il Corano? Mettiamo una benda ai terzini e vediamo che succede? Soltanto punizioni con la barriera schierata al contrario? Cos’è che vende di più? Partite all’una di notte per vedere se i calciatori restano in piedi?

Forse la migliore definizione l’ha data Maurizio Sarri che in conferenza stampa ha definito il tutto un “prendi i soldi e scappa”. E quello è. Niente di più.

Si potrebbe dire che il calcio italiano stia vendendo la sua anima se non fosse che forse l’anima il calcio italiano non ce l’ha mai avuta. O quasi. Pensare che con questi 23 milioni di euro e spicci si stia intaccando qualcosa di puro è davvero senza senso.

In teoria ci sarebbe da fare tutto un discorso sull’etica che andrebbe rispettata, sui soldi che non sono tutto nella vita, su bandiere dei principi che andrebbero sbandierate con orgoglio di fronte ai cattivoni là fuori che sventolano il denaro per comprarci. Ma parliamoci chiaro: in Italia li abbiamo ancora questi principi? Li abbiamo mai avuti? E quando si parla di calcio, in Italia ma ovunque, davvero si può ancora parlare di sport?

La cosa che colpisce è che ci siano ancora tifosi che riescano ancora ad appassionarsi a questa cosa che ormai chiamare sport è quasi una bestemmia.