di CARLO DI FOGGIA e GIACOMO SALVINI
Lo scontro è sotterraneo, ma vale molti soldi: 150 milioni subito (oltre 300 in previsione) ma soprattutto il destino di molti editori. Il governo ha in mano una serie di partite che possono tenere sotto pressione i giornali, una situazione spiacevole visto che parliamo di un settore in crisi nera e di quel che resta del dibattito pubblico in Italia. Il campo di battaglia per ora è il decreto Milleproroghe in discussione alla Camera. Per la prima volta il governo Meloni ha deciso di non prorogare l’obbligo per le stazioni appaltanti di pubblicare gli estratti dei bandi di gara sui quotidiani (due nazionali, uno locale). È la cosiddetta “pubblicità legale”, frutto di una normativa antiquata ma anche un sussidio al settore in anni di difficoltà: nel 2023 è valsa 45 milioni, stando agli ultimi dati Fcp, cioè del 12% degli introiti pubblicitari dei quotidiani. Sistema archiviato dal nuovo Codice degli appalti che impone alle amministrazioni di pubblicare tutto nella Banca dati dei contratti pubblici gestita da Anac. Il governo ha deciso di non prorogare la “pubblicità legale”, ma curiosamente ieri Fratelli d’Italia ha presentato un emendamento alla Camera per allungarle la vita. La mossa ricorda quella fatta da Matteo Renzi nel 2015, quando da premier minacciò i giornali di non prorogare la misura, togliendola dal decreto Milleproroghe, salvo poi farla ripristinare via emendamento parlamentare. Un segnale agli editori di poter aprire e chiudere un rubinetto che allora valeva 120 milioni (soldi che vengono rimborsati alla P.A. da chi vince le gare). L’emendamento di FdI fa felici gli editori, ma non è il solo che riguarda il settore affidato alle manovre parlamentari. Un altro di Forza Italia infatti rinvia al 2027 l’inizio dei tagli al “Fondo per il pluralismo” decisi nel 2019 dal governo Conte-1 che in tre anni avrebbero azzerare i contributi diretti destinati a giornali editi da cooperative, enti senza fini di lucro o minoranze linguistiche (giornali di nicchia ma anche nazionali come Libero, Il Foglio, Il Manifesto, Italia Oggi, Avvenire, etc.). I tagli sono stati sempre rinviati ma, senza nuove proroghe, partiranno da quest’anno: il fondo valeva 115 milioni nel 2023 (comprese radio e tv). L’emendamento li rinvia in attesa della riforma del settore, che il governo si è fatto assegnare con una delega blindata nell‘ultima manovra: gli consentirà di riscrivere l’intera normativa sui finanziamenti all‘editoria, tra cui il fondo straordinario di sostegno al settore (140 milioni). Partite vitali per il settore, tutte in mano al governo.
(Il Fatto Quotidiano)