ROMA - “Le richieste di riconoscimento di cittadinanza da parte di cittadini brasiliani con legami di parentela che portano in Italia stanno intasando gli uffici pubblici. Non solo quelli giudiziari, ma anche quelli di alcuni piccoli Comuni, che sono costretti ad espletare prima le pratiche provenienti dall’estero, che quelle riguardanti i propri cittadini. Nello stesso giorno il tema è stato sollevato da due punti di vista convergenti, giudiziario e amministrativo”. Ne scrive Giuseppe Pietrobelli sulle pagine online del “il Fatto Quotidiano”, che ha pubblicato questo articolo il 27 gennaio.
“Durante l’inaugurazione dell’anno giudiziario il presidente della Corte d’appello di Venezia, Carlo Citterio, ha constatato: “Tutti i Tribunali di primo grado hanno diminuito il numero di pendenze eccetto quello di Venezia, dove le richieste di cittadinanza da parte di brasiliani con collegamenti parentali in Italia da solo supera il numero di tutte le altre cause pendenti”. Il magistrato ha detto che si tratta anche di un problema politico “perché se il fenomeno dovesse estendersi, interferirebbe con la composizione del corpo elettorale e quindi anche dei quorum. Inoltre, alcune richieste scattano anche quando i legami di parentela sono fragilissimi”.
Da Venezia alle montagne bellunesi, dove la bandiera brasiliana è stata issata sul pennone del municipio, accanto a quelle italiana, europea e della Regione Veneto. Il sindaco di Val di Zoldo, Camillo De Pellegrin, si è sfogato: “Ci dobbiamo occupare prima delle cittadinanze iure sanguinis e poi dei nostri residenti: questo vuole lo Stato. Potremmo dire che ci troviamo nel Comune di Val di Zoldo del Brasile, Stato del Rio Grande do Sul”. De Pellegrin ha mal digerito il ricorso al Tar, per mancata ottemperanza di una sentenza, che è stata notificata in municipio dal legale di un neo cittadino-brasiliano, in attesa della trascrizione del suo nome nell’anagrafe comunale.
Emerge così il caso del piccolo Comune, abitato da 2745 persone che ha 1720 italiani residenti all’estero. La metà di questi è composta da neo italo-brasiliani. I due impiegati (uno è part time) dell’ufficio Anagrafe non riescono a smaltire le richieste dei nipoti o discendenti di bellunesi emigrati più di un secolo fa oltre l’Atlantico. Si sono così accumulate 551 pratiche arretrate. Per smaltirle, il sindaco dovrebbe far chiudere il municipio con i suoi servizi pubblici per sei mesi. All’ufficio anagrafe ha fatto affiggere un cartello: “L’erogazione dei servizi dell’ufficio demografico subirà un rallentamento al fine di dar corso alle sentenze di riconoscimento di cittadinanza in favore di cittadini italo-brasiliani e alle trascrizioni che provengono dai consolati. I nuovi orari di apertura al pubblico verranno comunicati a breve”.
Il sindaco rincara: “Non è solo un problema che riguarda Val di Zoldo. Decine di Comuni sono sommersi di pratiche. Qualcuno dovrà risolvere il problema alla radice. Dobbiamo dare priorità alle pratiche dei cittadini italo-brasiliani per scongiurare di esporre il Comune a ulteriori ricorsi, denunce o richieste di risarcimento”.
De Pellegrin ha messo a fuoco lo stesso problema riscontrato dal presidente della Corte d’Appello. “Accade da quando la cittadinanza iure sanguinis, che è un enorme business e che non sempre rispetta i crismi della legalità, può essere riconosciuta anche per via giudiziale, anziché per via amministrativa, tramite il Consolato italiano di residenza all’estero”. I Consolati sono intasati di pratiche. “È stato scoperto l’escamotage di chiedere il riconoscimento tramite un Tribunale italiano. Se si hanno i soldi per pagare un avvocato in Italia, si riesce a saltare la fila consolare. Poi però è sui Comuni che viene scaricata la trascrizione di decine e decine di atti di nascita, matrimonio, divorzio, morte. Quindi c’è l’iscrizione all’Aire e nelle liste elettorali… Ormai il corriere scarica pacchi di sentenze del Tribunale, molto spesso provenienti da Roma””.