Gente d'Italia

A Castelvolturno è spuntato Enea

di MIMMO CARRATELLI

Sono stato nell’ovattato, azzurro salone delle conferenze aureliane a Castelvolturno, in un ambiente che ricorda l’interno di una grande nave spaziale in cui galleggiamo noi giornalisti, autentici astronauti in virtù dell’assenza di gravità prodotta dal profluvio di parole con le quali De Laurentiis ci tiene tutti a mezz’aria.

E sono stato al cospetto del più intelligente, paraculo e formidabile uomo di mondo dell’emisfero occidentale, il mai tanto biasimato Aurelio De Laurentiis, l’uomo che il mondo del calcio ha trasformato in un masnadiero, ma che, al di là del ruolo di Lindstrom, dei quinti e dei piedi invertiti, di cui vuole testardamente interessarsi, e dell’ormai famosa pec spedita a Spalletti, lui è il più fico di tutti noi.

Lo avevo sottovalutato per l’impegno che persegue ostinatamente di mostrarsi come novello Marchese del Grillo, e noi non siamo un cazzo, ma Aurelio, a noi paladini della libera stampa e libera televisione e radio, ci tiene in pugno, noi che siamo orgogliosamente i suoi avversari con computer, telecamere e microfoni.

A un certo punto, Aurelio trasforma la nave spaziale di Castelvolturno in un gigantesco dormitorio dopo averci mandato a nanna con la sua eloquenza narcotizzante e l’enciclopedica narrazione in cui il calcio è solo un pretesto, tutto il resto, la maggioranza del resto è l’Aureliade, da Angelina Jolie a Politano, un racconto di vita, la sua vita, al limite del protagonismo, quando piano piano Aurelio diventa Enea che approda nel golfo con sulle spalle Ascanio, che altro non è che suo figlio Edo, e fonda il Napoli.

Un solo errore commette De Laurentiis quando, nel corso della sua straordinaria ninna nanna con cui ci manda in catalessi, tradisce il suo aplomb hollywoodiano col suo retrogusto trasteverino e gli scappa la parola forte, l’irrinunciabile invettiva, la parolaccia genuina del suo carattere cazzuto svegliandoci di colpo, metà sonnambuli e metà astronauti, e sentendoci astutamente giocati accresciamo la nostra avversità nei suoi confronti.

Nella conferenza-stampa, con buffet napoletano pasta e fagioli senza arsenico, Aurelio De Laurentiis abbandonando il suo balcone romano su Piazza Venezia, secondo affaccio fatidico della storia italiana, è disceso tra noi emigranti a Castelvolturno, cospargendosi il capo di cenere, ma evitando accuratamente i lapilli, per gli errori commessi nella contorta stagione del dopo-scudetto.

Ma è stato un penitente ribelle e orgoglioso, secondo la sua natura di crocefisso che resuscita dopo tre ore, e pian piano, forte forte, con andante mosso, ha immediatamente cancellato errori e pentimento per una trionfale sinfonia lirica sulla sua persona di Parsifal e di Otello tradito da indegne desdemone della panchina.

Sarà perché, alla fine, ho un cuore tenero, sarà perché Aurelio ha gli occhi hollywoodiani, sarà perché la sala delle conferenze di Castelvolturno ha un afrore che confonde, devo confessare d’essere stato sedotto da Aurelio De Laurentiis, sperando di non essere abbandonato con una pec.

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