Le macerie dei kibbutz israeliani bruciati e i palazzi sventrati a Gaza hanno riportato su un metaforico tavolo internazionale l’urgenza di tradurre in realtà la speranza di pace contenuta in una delle immagini che hanno segnato il Ventesimo secolo: la stretta di mano fra il primo ministro israeliano Yitzhak Rabin e il leader palestinese Yasser Arafat sul prato della Casa Bianca il 13 settembre 1993.
Netaniahu: “Non è il momento di parlare di doni ai palestinesi”
Gli Usa e molti Paesi arabi stanno lavorando a un Piano dettagliato per una pace comprensiva tra israeliani e palestinesi che include “una cronologia fissa” per la nascita dello Stato palestinese. Lo ha riferito il Washington Post, aggiungendo che l’annuncio potrebbe avvenire nelle prossime settimane. Punto chiave del Piano sarebbe il raggiungimento di un cessate il fuoco iniziale tra Israele e Hamas di 6 settimane durante le quali gli Usa annuncerebbero il progetto e la formazione di un governo palestinese ad interim.
“Ora non è il momento di parlare di doni per il popolo palestinese, in un momento in cui la stessa Autorità palestinese deve ancora condannare il massacro del 7 ottobre”, ha dichiarato però Avi Hayman, portavoce dell’ufficio del premier Benyamin Netanyahu.
Trentuno anni dopo la storia si ripete tragicamente, e ciclicamente. Ora, mentre le cancellerie internazionali cercano soluzioni per un cessate il fuoco e il rilascio degli ostaggi ancora in vita, più che mai sembra vitale lo sforzo per un accordo di pace. Gli ostacoli che sembrano insormontabili.
Accordi Oslo 1993: “Gaza and Gerico first”
Un anno intero di negoziati segreti tra i fiordi attorno a Oslo, tenendo all’oscuro anche la Cia, “aveva creato una congiunzione astrale senza precedenti”, ebbe a dire Yossi Beilin, vice ministro degli Esteri israeliano che nel 1992 aveva avviato i contatti con i palestinesi. Dopo aver appoggiato l’aggressione di Saddam Hussein al Kuwait, Yasser Arafat non aveva più l’aiuto né il denaro dei Paesi arabi.
Nel giugno 1992 i laburisti avevano vinto le elezioni con Yitzhak Rabin: Beilin convinse il ministro degli Esteri Shimon Peres. Peres convinse Rabin. Il dialogo fu annunciato e coinvolti gli americani. Alla Casa Bianca il 13 settembre 1993, Rabin e Arafat si strinsero la mano. Si decise di partire con l’esperimento: “Gaza e Gerico first”, con l’autonomia alle due città. Ci fu un certo successo. Ma la destra israeliana, Hamas e soprattutto il terrorismo, da entrambe le parti, fecero saltare tutto. Nel 1994 un ebreo estremista assassinò Yitzhak Rabin a Tel Aviv.
2000, Camp David
Al vertice di pace in Medio Oriente di Camp David, tra l’11 e il 24 luglio 2000, presero parte l’allora premier israeliano Ehud Barak e il presidente dell’Autorità nazionale palestinese Yasser Arafat. Sotto l’egida del presidente Usa Bill Clinton. Barak, sotto forti pressioni Usa, propose ad Arafat uno Stato palestinese nella Striscia di Gaza e in parte della Cisgiordania, il ritorno di un certo numero di profughi, la smilitarizzazione dello Stato palestinese e lo smantellamento dei gruppi terroristici. Arafat rifiutò l’offerta. Clinton avrebbe voluto che Camp David chiudesse la sua vita da presidente con un successo storico. Invece due mesi dopo scoppiò la seconda Intifada. Arafat non la fermò.
Due Stati due popoli, ritorno ai confini del ’67
La proposta di due Stati per due popoli che prevedeva la creazione di uno Stato di Palestina con la Striscia di Gaza e la Cisgiordania, e con capitale Gerusalemme est, nel rispetto degli accordi presi durante l’armistizio del 1949, era alla base della soluzione di pace proposta dell’Arabia Saudita nel 2002. Fu accettata dall’Autorità Nazionale Palestinese e da tutti i Paesi della Lega Araba. Il piano promise in cambio della tregua le relazioni diplomatiche tra i Paesi arabi e Israele e il ritorno ai confini precedenti il 1967. Soluzione diffusa anche in Israele nel movimento del sionismo socialista. E’ stata approvata dall’Onu ma mai realizzata.
2020. Peace and Prosperity (senza i palestinesi)
Nel 2020 Donald Trump presentò in conferenza stampa con Benyamin Netanyahu il Peace for Prosperity, un piano che in cambio di alcune concessioni extra imponeva il riconoscimento degli insediamenti israeliani in Cisgiordania. Per i palestinesi, un’espansione territoriale significativa, con un territorio di dimensioni paragonabili a quelle della Cisgiordania e di Gaza. Il piano è stato respinto subito dai palestinesi. Che non furono invitati al meeting.