di GIORGIO OLDOINI
Nel film “i sopravvissuti” del 1973, la Terra è sovrappopolata, il cibo scarseggia e il suicidio è promosso e assistito. I poveri mangiano gallette fornite dallo Stato. Un poliziotto scopre che la ditta produttrice delle gallette trasforma i cadaveri in farina. La catena alimentare dell’uomo finisce con la mutazione di se stesso in cibo.
Sulla base delle previsioni algoritmiche, nel 2100 la popolazione mondiale si assesterebbe intorno agli 11 miliardi.
Gli statisti europei hanno pensato che non basteranno le bistecche a sfamare tanti individui e che l’uomo dovrà riconvertirsi all’uso di insetti, cavallette e simili.
Gli animalisti, a loro volta, affermano che non potremo aumentare gli allevamenti bovini e suini inquinando il pianeta ed utilizzando le tecniche di distruzione di massa degli animali, sempre più invasive.
Solo che i pericoli di questo “futuribile” riguardano anzitutto i paesi ad elevato indice demografico, cioè i 2/3 del pianeta. Questi paesi restano i più grandi inquinatori della Terra ed aspirano a migliorare il proprio tenore di vita, adottando le stesse tecniche della rivoluzione industriale, che si vorrebbero distruggere in Europa e negli Usa.
In altre parole, l’Occidente non è più l’emisfero trainante dell’attuale ciclo di sviluppo economico della Terra, ma semplice spettatore ai limiti dell’impotenza.
Anche se l’Occidente seguisse alla lettera i precetti degli ambientalisti, qualora non si modificassero le attuali politiche nel resto del pianeta, l’indice di riduzione dell’inquinamento globale sarebbe trascurabile.
L’Europa è una creazione dei contadini, i quali prosciugarono paludi, innalzarono dighe, disboscarono, costruirono strade, canali e case, spostarono in avanti le frontiere della civiltà. Essi ci hanno trasmesso la tradizione del “cibo”, il patrimonio identificativo di singole nazioni e villaggi, come è avvenuto in ogni parte del mondo.
Durante il colonialismo, i francesi chiamarono molti contadini vietnamiti a coltivare le proprie terre. Dopo pochi anni questi contadini ritornarono nei loro paesi perché non si erano adattati al regime alimentare dei loro colonizzatori.
Qualche tempo fa, mi ero recato per lavoro in un paese dell’estremo oriente ed avevo visitato il locale mercato della carne, dove ho vissuto una terribile esperienza. Una sosia della mia cagnetta “shihtzu”, era appesa ad un gancio ancora viva.
All’improvviso, un omaccione afferrò un coltello, la scuoiò, la fece arrosto, l’impacchettò e la consegnò al cliente. Rimasi pietrificato e giurai di non mettere più piede in Thailandia.
La vendita di animali selvatici vivi nel mercato di Wuhan, sarebbe stata la causa dei primi casi di Covid registrati nel 2019. In Europa, le adulterazioni di cibi e di altri prodotti, sono state pratiche abituali per molti decenni.
Il vino al metanolo di qualche anno fa rappresenta un semplice incidente di percorso rispetto agli effetti provocati dalla immissione in commercio (al di fuori di ogni controllo sanitario internazionale) della “mucca pazza”.
A seguito di questi episodi, la produzione agricola e zootecnica europea è stata assoggettata a stringenti controlli e l’Italia è considerata la nazione più attenta alla salute dei cittadini.
Gli agricoltori europei si trovano ora dinnanzi ad una realtà che non ha precedenti: la loro libertà d’impresa è stata menomata da infinite disposizioni restrittive: le quote-latte, la riduzione delle aree agricole destinate agli impianti fotovoltaici, la carne sintetica, l’aumento del costo dei carburanti, l’eliminazione dei prodotti antiparassitari, l’aumento della tassazione, l’esistenza di una filiera commerciale di tipo parassitario.
Questo complesso di norme ha ridotto i margini di sopravvivenza economica degli agricoltori, a loro dire non compensata dalla contribuzione pubblica.
Lo scopo delle manifestazioni ambientaliste è quello di creare sensi di colpa collettivi, che inducano a seguire il “verbo” degli “uomini nuovi” (gli stessi ambientalisti e animalisti) che meglio interpretano le esigenze di un futuro ormai alle porte. Nel solco di questo contesto “ideologico”, si è innescata la politica di delegittimazione degli agricoltori europei.
E’ proprio vero che il problema della salute prevale rispetto all’interesse economico in forza di un processo di maturazione delle coscienze che trasforma quell’interesse in valore?
Un interesse diviene valore a seguito di mutamenti etico-sociali oppure perché la popolazione viene guidata verso consumi diversi e più remunerativi?
La storia del movimento ecologista può rappresentare un esempio del rapporto sottostante tra valori e interessi economici. Le varie organizzazioni europee dei “verdi” furono inizialmente propiziate proprio dalle fondazioni legate a compagnie petrolifere.
Il 22 aprile 1970 venne proclamata negli USA la Giornata della terra. Alcune migliaia di studenti diedero inizio in quel giorno alla protesta contro la società industrializzata, colpevole di voler distruggere l’ambiente naturale.
Uno dei finanziatori di tale iniziativa fu Robert O. Anderson, allora presidente della ARCO, una società impegnata nello sfruttamento del petrolio britannico nel Mare del nord. In quegli anni Anderson era il proprietario del settimanale “Observer” di Londra e presidente dell’ Aspen Institute. Egli versò in forma ufficiale 200 mila dollari per la Giornata della terra e altrettanti nelle casse degli Amici della terra.
La sua non era un’iniziativa isolata; egli contava sull’appoggio di importanti personaggi appartenenti all’ Aspen Institute. Il successore di Anderson nella presidenza dell’istituto fu Joseph Slater, il direttore della Ford Foundation che assunse varie iniziative in favore dei movimenti ecologisti.
Fu grazie alle iniziative di Slater che l’ambasciatore svedese alle Nazioni unite, Sverker Ostrom, organizzò a Stoccolma nel 1972 la conferenza sull’ambiente dell’ONU. Quella conferenza servì a lanciare in Europa il movimento ambientalista.
Da allora il movimento ecologista internazionale ha goduto di ingenti finanziamenti da parte delle fondazioni legate a compagnie petrolifere. I più grandi inquinatori cercavano una legittimazione per realizzare il business ambientale e per poter produrre impianti di smaltimento dei rifiuti o di depurazione delle acque.
Nella società moderna si verifica che le mutazioni etiche sono propiziate dalle scelte dei gruppi finanziari che devono trovare nuove forme di investimento del capitale, la cui redditività non può essere interrotta neppure per un istante.
Se quindi si vuole predisporre una popolazione all’uso della carne sintetica, delle cavallette o delle formiche, occorre “preparare” i consumatori potenziali e convincere un gran numero di operatori ad avviare aziende nel comparto. Il settore alimentare è dunque il nuovo business sul quale le multinazionali del denaro potranno investire.
La riduzione delle aree coltivabili e le restrizioni all’agricoltura in Europa, finiranno per favorire le aziende dei paesi inquinanti e causeranno una riduzione dell’occupazione e della produzione europea della carne, i cui prezzi aumenteranno.
Gli attuali decisori politici giustificano le proprie scelte con uno slogan antico e ripetitivo: “nessuno obbligherà ad usare le farine di formiche, a nutrirsi di cavallette ai ferri o di carne sintetica; si tratta di allargare le opzioni di mercato”.
Non è così, perché le scelte di mercato sono guidate dalle disponibilità economiche dei cittadini.
Le élite del denaro potranno sempre permettersi di accedere ai ristoranti che preparano piatti tradizionali, mentre alle masse saranno serviti pasti precotti dal gusto indefinito.